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“L’idea della necessità di ottenere una propria colonia di popolamento ha acquistato da molti anni una parte cospicua di socialisti. Il marxista Antonio Labriola, l’Engels del socialismo italiano, ha già nel 1902 spezzato, per tale idea, una lancia. Il Labriola nutriva la speranza che un giorno Tripoli potesse diventare la colonia ideale del proletariato italiano, capace di incanalare per secoli le forze elementari demografiche della nazione. Anche lui canzonava l’ingenuità di coloro che ritenevano che l’Argentina potesse diventare mai una seconda patria per gli italiani, e con energia additava l’urgenza di svolgere una politica di popolazione, ammonendo i suoi concittadini a por fine ad uno stato di cose che «disperde l’energia demografica del paese inutilmente per le cinque parti del mondo». La creazione di una colonia propria sarebbe identica con la fine dell’emigrazione stessa, perché «gli emigranti in tal caso non sarebbero più emigranti, una volta che andassero a popolare una nuova patria» (1). Liberare il proletariato italiano da gran parte degli svantaggi immanenti all’emigrazione riversantesi in paesi, diversi per lingua e per razza, o retti a stati indipendenti o sottostanti a dominio altrui, ecco la meta di un numero ragguardevole e sempre crescente di socialisti italiani, appartenenti a tutte le sfumature del loro partito, dall’ultima ala destra fino all’ultima ala sinistra. Ciò non toglie che gli avversari del sistema coloniale, spinti da ragioni rispettabilissime d’indole etica, democratica o economica, tuttora spesseggiano (2), anzi, come dimostra l’esito del Congresso nazionale socialista tenuto nel 1912 a Reggio Emilia, prevalgono nelle file socialiste. Ma non vi è dubbio che la parte più colta dei socialisti italiani non si sottrae alla convinzione che il proletariato italiano abbisogna di uno sbocco coloniale sottostante al controllo politico della metropoli stessa, e che la discussione tra di essi non si svolge tanto sulla questione di principio ‘in sè’ quanto sul problema concreto dell’idoneità o meno di una data terra riguardo a tale scopo” (pag 94) [(1) Antonio Labriola, ‘Scritti vari di filosofia e politica’, Bari, 1906, pag 439 e segg.; (2) ‘spesseggiare v. intr. [der. di spesso1] (io spességgio, ecc.; non usato nelle forme composte), non com. – Essere frequente; accadere, verificarsi con maggiore o con molta frequenza’ (ndr) (Trecc)] [Roberto Michels, L’imperialismo italiano. Studi politico-demografici, Sel – Scientia et Labor, 1916]