“Nel novembre del 1918 parlare di qualcuno che aveva i pieni poteri significava non volersi accorgere che la confusione politica dovuta ai ‘coups’ rivoluzionari, all’abdicazione dei sovrani e, dopo la conclusione dell’armistizio, ossia l’11 novembre, ai disordini causati dalle bande di soldati che vagavano senza capi né disciplina, era così grande che a Berlino era letteralmente impossibile sapere cioè che stava accadendo nella maggior parte del paese. Per il momento Ebert e i suoi colleghi non potevano fare assolutamente nulla per influire sul corso degli eventi né a Monaco né a Braunschweig, e anche a Berlino il loro potere (che, in ultima analisi, derivava da un atto di dubbia correttezza costituzionale, l’assegnazione del concellierato a Ebert da parte del principe Max) era avversato dai Consigli dei soldati e degli operai, dai socialisti indipendenti e dall’unione spartachista. I più terribili tra questi avversari erano gli spartachisti. I Consigli non avevano infatti espresso nessun programma coerente e nessun capo di una qualche importanza, e gli indipendenti erano un partito diviso e, nei momenti critici, indeciso; alla fine di novembre un osservatore olandese, disse infatti a Carl Sternheim che gli ricordavano la scombinata banda di giovani briganti dei ‘Masnadieri’ di Schiller, messo in scena da Max Reinhardt (15). L’Unione spartachista, che nel gennaio del 1919 sarebbe diventata il partito comunista tedesco (KPD), era invece una minaccia più seria perché aveva due dirigenti fuori dell’ordinario, ossia Karl Liebknecht, figlio di uno dei fondatori del partito socialdemocratico, e l’eccezionale rivoluzionaria polacca Rosa Luxemburg. Quest’ultima, una valorosa studiosa di filosofia (Franz Mehring ha definito il suo studio sull’imperialismo «un’opera veramente magnifica, affascinante, senza eguali dalla morte di Marx» (16) merita di essere ricordata soprattutto per la sua capacità di penetrare la natura dell’azione politica (17). Le sue idee si erano formate attraverso l’esperienza della rivoluzione del 1905 e la delusione suscitata in lei dalla socialdemocrazia tedesca, che, secondo la sua opinione, si era allontanata dai compiti legati alla vita reale per dedicarsi esclusivamente al miglioramento dell’organizzazione del partito. La Luxemburg era convinta che le revoluzioni erano fatte dalla spontanea volontà delle masse e che spesso non raggiungevano il loro scopo per l’imprevidenza dei burocrati del partito: una rivoluzione è destinata ed essere «grande e forte finché non la sfasciano i socialdemocratici» (18). Nel 1918, mentre si dedicava alla trasformazione sociale e morale della Germania, vedeva in Ebert il nemico perché lo riteneva la quintessenza del funzionario di partito. E questo suo giudizio era piuttosto acuto. Ebert era infatti stato scelto come capo dell’SPD, quando era morto Bebel nel 1918, per il suo talento amministrativo e perché rappresentava la corrente revisionista che prevaleva all’interno del partito (19). Egli riteneva che la fede di Rosa Luxemburg negli impulsi naturali della classe lavoratrice fosse romantica e potenziamente pericolosa. (…) Ciò non toglie che gli allarmi e le scorrerie causassero danni alla proprietà e perdite di vite umane (21), e che l’incapacità di controllo da parte del governo fosse un doloroso sintomo della possibilità che questa violenza si diffondesse al punto da disgregare totalmente le strutture della società. Di fronte a una possibilità di questo genere Ebert prese quella che, secondo i giudizi sulla sua carriera, eclissò ogni altra sua iniziativa: decise cioè di allearsi contro la minaccia dell’estrema sinistra con il comando supremo dell’esercito. Ma certamente era disposto a farlo anche prima che questa minaccia si manifestasse” (pag 435-437) [Gordon Craig, ‘Storia della Germania 1866 – 1945. II. Dalla rivoluzione fallita al crollo del Terzo Reich, 1918-1945’, Editori Riuniti, Roma, 1983] [(15) C. Sternheim, ‘Die deutsche Revolution’ (1918) in Gesamtwerke’, ed. W. Enrich, v. VI, Berlino 1966. Questo primo giudizio deriva da un ampio studio del partito, David W. Morgan, ‘The socialist Left and the German Reolution: A History of the German Independent Social Democratic party, 1917-1922’, Ithaca, 1975; (16) F. Mehring, ‘Briefe an Freunde’, Zurigo, 1950, p. 84; (17) Vedi J. P. Nettl, Luxemburg, cit., vol. II, specialmente pp. 544 sgg; (18) H. Arendt, ‘Men in Dark Times’, New York, 1968, p. 52; (19) C.E. Schorske, ‘Social Democracy’, Cambridge, 1955, pp. 123 sgg; (21) Vedi, p. es., il resoconto di un testimone oculare degli avvenimenti sanguinosi all’Oranlenburger Tor del 6 dicembre in ‘Der deutsche Revolution’, cit. pp. 118-119]