“In una lettera – spedita nel novembre 1877 – alla redazione degli «Otecestvennye Zapiski», Marx accusa un critico russo del ‘Capitale’ di trasformare il suo «schizzo storico della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una storia storico-filosofica della marcia generale fatalmente imposta a ‘tutti’ i popoli, in qualunque situazione storica essi si trovino, per giungere infine alla forma economica che, con la maggior somma di potere produttivo del lavoro sociale, assicura il più integrale sviluppo dell’uomo» (99). Si può sorvolare sul problema teorico e politico che sta all’origine di questa lettera: lo sviluppo capitalistico in Russia. Interessa soltanto l’opposizione che Marx stabilisce tra il proprio procedimento e quello che era costitutivo di una filosofia della storia di tipo hegeliano, se non di tutta la filosofia concepibile della storia. Lo studio di un fenomeno circoscritto e localizzato, la cui gestazione era già arrivata al termine, sta in opposizione con una generalizzazione a pretesa validità universale, che determina, una volta per tutte, la traiettoria che ogni popolo deve inevitabilmente percorrere. Non è obbligatorio accettare in pieno le opinioni di Marx sulla sua opera: ciò non toglie che le si debba conoscere. Il rifiuto della filosofia della storia, soprattutto ma non soltanto nella sua forma hegeliana, è costante nell’opera di Marx. «Là dove cessa la speculazione, – si legge nell’ ‘Ideologia tedesca’, – nella vita reale, comincia dunque la scienza reale e positiva, la rappresentazione dell’attività pratica, del processo pratico di sviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto deve subentrare il sapere reale. Con la rappresentazione della realtà la filosofia autonoma perde i suoi mezzi d’esistenza. Al suo posto può tutt’al più subentrare una sintesi dei risultati più generali che è possibile astrarre dell’esame dello sviluppo storico degli uomini. Di per sé, separate dalla storia reale, queste astrazioni non hanno assolutamente valore. Esse possono servire soltanto a facilitare l’ordinamento del materiale storico, a indicare la successione dei suoi singoli strati. Ma non danno affatto, come la filosofia, una ricetta o uno schema sui quali si possano ritagliare e sistemare le epoche storiche» (100). In quest’opera giovanile, la «scienza», l’ «analisi», lo «studio», il «sapere» sono opposti alla «speculazione», alla «filosofia». Il ruolo delle «astrazioni» è ridotto a quello di strumenti che possono facilitare un lavoro di classificazione dei fatti, assimilato, senza che la parola sia pronunziata, a una periodizzazione dalla quale sarebbe peraltro assente ogni idea di necessità supposta come determinante, una volta per tutte, la successione delle epoche. Un lungo passo di cui la parte citata costituisce la conclusione mostra come Marx ed Engels concepiscono una tale periodizzazione. Essa riguarda «le forme della proprietà» che rappresentano altrettanti stadi di sviluppo della divisione del lavoro, i quali manifestano a loro volta il grado di sviluppo raggiunto dalle forze produttive” (pag 149-150) [Krzysztof Pomian, L’ordine del tempo, Einaudi, Torino, 1992] [(99) K. Marx, Lettera del novembre alla redazione degli “Otecetstvennye Zapiski”, in “Vestnik Narodnoj Volij”, maggio 1884 [trad. it. in B. Maffi (a cura di), ‘India, Cina, Russia’, Milano, 1970 (II ediz), pp. 300-3; (100) K. Marx e F. Engels, ‘Die deutsche Ideologie’, in ‘Historische-kritische Gesamtausgabe’, Frankfurt am Main, Berlin, Moskva, 1932 [trad. it., ‘L’ideologia tedesca’, Roma, 1967 (II ediz), p. 14]