“Già Engels diceva, nel suo scritto ‘Per la critica del progetto di programma del partito socialdemocratico’ (1), del 1891, precisamente questo che quando «dalle società per azioni passiamo ai trust, che dominano e monopolizzano intere branche dell’ industria… non possiamo parlare più neppure di ‘assenza di un piano’ (da parte del capitalismo)»” (pag 55). “Vi è un passo importante però del ‘Manifesto del partito comunista’ (1848), che io voglio citare. Marx dice: «Il proletariato si servirà della sua supremazia politica [cioè del suo potere] per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato…Naturalmente, sulle prime tutto ciò non può accadere se non per via di interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione; vale a dire con misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma che nel corso del movimento sorpassano se stesse e spingono in avanti, e sono inevitabili come mezzi per rivoluzionare l’intero modo di produzione. Come è naturale queste misure saranno diverse a seconda dei diversi paesi» (2). Un altro momento importante del dibattito di Lenin (…) è del 1915, quando, dopo il fallimento della II Internazionale di fronte alla guerra del 1914, si diffonde nella sinistra socialista la tesi che la II Internazionale si sarebbe indebolita, svirilizzata, avrebbe perso contenuto rivoluzionario, per aver data troppa importanza alle riforme e alle rivendicazioni immediate. A questo proposito Lenin scrive: «Noi critichiamo con la massima severità la vecchia II Internazionale (1889-1914), dichiariamo che essa è morta …. Ma non diciamo mai … che finora si sia dato troppo posto alle cosiddette “rivendicazioni immediate” né che questo possa portare alla svirilizzazione del socialismo. Affermiamo e, dimostriamo che tutti i partiti borghesi, tutti i partiti, tranne il partito rivoluzionario della classe operaia, mentono e sono ipocriti quando parlano di riforme. Cerchiamo di aiutare la classe operaia a ottenere un miglioramento reale (economico e politico), sia pur minimo della sua situazione, e agigungiamo sempre che ‘nessuna’ riforma può essere stabile, autentica e seria se non è sostenuta dai metodi rivoluzionari di lotta delle masse. Insegnamo continuamente che un partito socialista che non unisca quest alotta per le riforme ai metodi rivoluzioanri del movimento operaio può trasformarsi in una setta, può staccarsi dalle masse e queto è il pericolo più serio per il successo del vero socialismo rivoluzionario» (3). (…) Nello stesso periodo Lenin scrive: «Noi sosteniamo un programma di riforme che è ‘anch’esso’ diretto contro gli opportunisti. Questi tali sarebbero ben felici se noi lasciassimo loro in esclusiva la lotta per le riforme» (4)” In un altro punto, sempre nella stessa epoca, scrive: «Soltanto i riformisti borghesi… pongono il problema così: o si rinuncia alla rivoluzione e allora si fanno le riforme, ‘oppure’ niente riforme. Tutta l’esperienza della storia mondiale, anche quella della rivoluzione russa del 1905, ci insegna appunto il contrario: ‘o’ la lotta di classe rivoluzionaria, che ha ‘sempre’ come prodotto accessorio le riforme (in caso di successo incompleto della rivoluzione), ‘oppure’ niente riforme» (5)” (pag 62-64) [ [(1) K. Marx, F. Engels, Opere scelte, cit., p. 1170; (2) K. Marx F. Engels, ‘Il manifesto del partito comunista’, cit., pp. 87-88; (3) V.I. Lenin, ‘Il contenuto economico del populismo’, in Opere complete, cit., v. 21, pp. 387-388; (4) Ibidem, v. 23, p. 82; (5) Ibidem, v. 23, p. 214; (5) [Luciano Gruppi ‘Riforme e rivoluzione’, in ‘Ideologia e azione politica’, Editori Riuniti, Roma, 1972]