“D’altra parte, il dubbio che forse stiamo prendendo Vico troppo sul serio non è la minore difficoltà che ci si pongono nell’interpretarlo. L’idea delle leggi agrarie ci sembra un’idea impressionante quando l’incontriamo nel campo della storia romana; ma che cosa dovremo pensar incontrandola di nuovo in un’interpretazione estemporanea del mito di Atalanta? Secondo Vico, il quale ‘more solito’ fraintendeva il suo Ovidio, era stata Atalanta a gettare vie le mele d’oro, e ogni mela era una legge agraria. (… ). Di questo tipo è il tentativo di Vico di estendere la nozione di legge agraria all’età eroica dei greci. La bella Atalanta e le sue mele d’oro non sono forse fuori luogo, se dobbiamo valutare l’affermazione che l’accento posto sulla lotta delle classe farebbe di Vico un marxista ante litteram’. L’affermazione risale all”Etude sur Vico’ di Georges Sorel, pubblicato nel «Devenir Social» del 1896. Ma è noto che Marx stesso raccomandava Vico a Lassalle nel 1861: «Mi sorprende che, a quanto pare, lei non abbia letto la ‘Scienza nuova’ di Vico – non per nulla che avrebbe potuto trovarvi per il suo scopo specifico, ma per la sua concezione filosofica dello spirito del diritto romano in opposizione al filisteismo dei giuristi». Attraverso Antonio Labriola, Paul Lafargue, e la famosa citazione di Trotsky nella prima pagina della ‘Storia della rivoluzione russa’, questa nozione filtrò fino a ‘To the Finland Station’ di Edmund Wilson, e ora sta alla base della rispettabilissima opera di Nicola Badaloni, ‘Introduzione a G.B. Vico’ (1961), risultato di uno studio ventennale di Vico come precursore del marxismo (5). L’interpretazone della storia del Vico poggia certamente sulla lotta di classe. Gli eroi sono conservatori, i plebei premono per un cambiamento. Nella misura in cui è la Provivdenza che decide chi opererà i cambiamenti, possiamo leggere in Vico una certa approvazione delle mosse dei plebei. Uno storico privo di pregiudizi come il mio amico Mario Fubini ha dimostrato in pagine memorabili che il plebeo napoletano Vico sentiva molta simpatia per i plebai romani (6)” (pag 224-225) [Armando Momigliano, ‘Sui fondamenti della storia antica’, Einaudi, Torino, 1984] [(5) I riferimenti si trovano in M.H. Fisch e T.G. Bergin, ‘The Autobiography of G. Vico’ (1944), Great Seal Books reprint 1963, pp. 104-8. Le note di questa edizione (che ho usato nelle mie citazioni) sono una utilissima integrazione della ‘Bibliografia vichiana’. Cfr. anche a Angelamaria Jacobelli Isoldi, ‘Vico e Marx’, in ‘Giornale Critico della Filosofia Italiana’, 30, 1951, pp. 69-102 e 228-53; il suo libro su Vico, Cappelli, Bolona, 1960 e A. Rotondo, in ‘Società’, II, 1955, pp. 1011-47; (6) ‘Stile e umanità in G.B. Vico’, Bari, p. 63]