“Il generale Grant non si trovava più presso l’Armata del Potomac. Dopo aver passato una notte insonne a causa di un’atroce emicrania che lo tormentava, era partito di buon mattino per raggiungere le truppe che si trovavano con i generali Sheridan e Ord (96). Ciò implicava un ampio giro perché, come si sa, tra le forze del generale Meade e l’Armata del James c’erano i confederati, per cui solo alle 11.50 gli era stata recapitata la lettera del generale Lee che chiedeva di trattare la resa della propria Armata. Grant aveva risposto immediatamente accettando il colloquio (97), poi aveva proseguito rapidamente in direzione di Appomattox Station. Più tardi disse al colonnello Porter, il quale cavalcava presso di lui, che l’emicrania gli era passata di colpo ricevendo la lettera di Lee (98). Al momento, un silenzio quasi misto di timore era sceso sul piccolo gruppo che scortava Grant; poi qualcuno aveva proposto tre «evviva», e le voci si erano levate debolmente, ché la commozione aveva afferrato tutti alla gola e gli occhi erano pieni di lacrime (99). Così, era la vittoria; la vittoria per cui l’Unione aveva sanguinato, lottato e sofferto per quattro lunghi, terribili anni; la vittoria per cui centinaia di migliaia si erano levati in armi abbandonando i natii focolari. Per questo erano morti Ellsworth, Reynolds, Sedgwick, McPherson e falangi di altri più umili, sconosciuti combattenti che giacevano nelle povere tombe, su cento campi di battaglia. Era l’offerta di resa da parte di una tra le più formidabili organizzazioni militari della storia guidata da uno tra i maggiori condottieri di tutti i tempi. Di nuovo come a Forte Donelson, come a Vicksburg, il semplice, taciturno, modesto Grant si apprestava a ricevere la capitolazione di un intero esercito nemico: e di quale esercito! E ciò veniva a coronamento di una campagna tra le più brillanti, ché l’inseguimento da Petersburg ad Appomattox meritava di rimanere nei manuali; non a caso un illustre scrittore straniero avrebbe paragonato tale campagna a quella napoleonica di Jena, sottolineando che entrambe erano finite allo stesso modo: con la cattura dell’esercito avversario (100)” (pag 1245) [(100) Karl Marx Friedrich Engels, ‘The Civil War in the United States’, New York, 1961, pp. 275 sg., Engels a Marx, 3 maggio 1865] [Raimondo Luraghi, ‘Storia della guerra civile americana. Volume secondo. La prima guerra moderna e la formazione della nazione americana’, Rizzoli, Milano, 1994]