“Il senso della «politica delle cose» (46) indusse Lassalle persino a scegliersi come collaboratore un uomo del regio governo prussiano, il teorico ‘socialista’ ed economista Karl Rodbertus. E in un primo tempo ottenne l’approvazione del Rodbertus al suo piano di cooperative di produzione con l’aiuto dello stato, pur ritenendo il Rodbertus che per la trasformazione socialista sarebbero occorsi non meno di cinquecento anni. Lassalle invece voleva il socialismo «rapido», magari entro l’anno. Eppure i legami organici fra gli intellettuali son così forti, quando essi abbiano una certa concezione del lavoro, che fu possibile una breve collaborazione fra l’impaziente Lassalle e l’ultrapaziente Rodbertus. Questo rappresentante del lavoro non fu tuttavia un socialista da tavolino, ma un attivista. Non si limitò a scrivere, ma lavorò concretamente all’edificazione del primo grande partito politico indipendente del proletariato tedesco. (…) Migliaia di lavoratori risposero a quest’appello, e nel maggio del 1863 fu organizzata formalmente l’Associazione Generale dei Lavoratori Tedeschi. Nel giugno, all’insaputa dei lavoratori naturalmente, Lassalle mandò a Bismarck gli statuti adottati, con questa nota: «… basti questo a dimostrarvi quanto sia vero che la classe lavoratrice è per istinto orientata verso la dittatura, purché avverta che essa verrà esercitata nell’interesse della classe lavoratrice». Lassalle non era quel che si dice un “traditore”. Non era uomo da farsi comprare. Combatté in nome dei suoi principi, per essi andò in prigione, e sarebbe stato anche pronto a morire. Solo che gli era impossibile pensare che ‘essi’ (i lavoratori) fossero in grado di governare. (…) «Il suo atteggiamento», scrisse Marx, «è quello di un futuro dittatore dei lavoratori. Egli risolve, come se fosse un gioco, i problemi che sorgono fra lavoro e capitale. I lavoratori devono battersi per il suffragio universale e mandare al parlamento uomini come lui, armati della lucente spada della scienza. Essi organizzeranno le fabbriche dei lavoratori per le quali lo stato metterà il capitale; e a poco a poco queste istituzioni abbracceranno tutto il paese…» (47). Marx scriveva questo non perché conoscesse le tresche di Lassalle con Bismarck, ma perché conosceva il concetto lassalliano dell’arretratezza del lavoro. Lassalle subiva l’illusione dell’età sua: che la scienza sia aclassista. Dato questo atteggiamento, era naturale che egli pensasse di rappresentare «la scienza e i lavoratori» perché la scienza si incarnava sicuramente ‘nell’intellettuale, nel capo’. Marx dal canto suo respingeva questa «puerilità». Respingeva il concetto borghese secondo il quale quella era l’età della «scienza e democrazia», e respingeva l’astrazione della «scienza e lavoratore». In concreto, insisteva Marx, la scienza si incarnava nella macchina e la democrazia nel parlamento borghese. Il concetto lassalliano del capo dei lavoratori aveva questo in comune con la borghesia: ‘i lavoratori restavano nella fabbrica’. Fra Lassalle e Marx ci fu una profonda divisione, nel pensiero e nella pratica, allo stesso modo che nella vita c’è una profonda divisione fra piccolo borghese e lavoratore” (pag 65-67) [Raya Dunayevskaya, ‘Marxismo e Libertà’, La Nuova Italia, Firenze, 1962] ((46) Marx: «Egli si adirò con me e con mia moglie per avere riso dei suoi piani e per averlo chiamato ‘bonapartista’… Noi non andiamo d’accordo in nulla, eccetto che in pochi scopi decisivi»; (47) Lettera del 9 aprile 1863]
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- Articolo pubblicato:14 Maggio 2024