“Che cosa accadde in Inghilterra alla metà del secolo XVII? Si trattò di una «grande ribellione», come riteneva Clarendon, l’ultima e la più violenta delle tante ribellioni contro re particolarmente invisi o impopolari inscenate da membri dissidenti delle classi terriere per tutto il corso del Medioevo? Si trattò davvero soltanto di una guerra intestina provocata da un temporaneo collasso politico, a sua volta dovuto a circostanze politiche particolari? O fu invece la rivoluzione puritana di S.R. Gardiner, secondo il quale la forza motrice di quel processo fu un conflitto tra istituzioni e ideologie religiose? Si trattò del primo grande scontro tra la libertà e la tirannia, come la vedeva Macaulay, la prima salva di cannone dell’Illuminismo e del partito ‘whig’, il colpo che avviò l’Inghilterra sulla lenta via della monarchia parlamentare e delle libertà civili? O fu invece la prima rivoluzione borghese, la lotta degli elementi economicamente più dinamici e progressisti della società per affrancarsi dalle fasce della sua infanzia feudale? Così la vedeva Engels; e così tendevano a vederla tanti storici degli anni Trenta, compresi R.H. Tawney e Ch. Hill. Fu la prima rivoluzione modernizzatrice – la nuova veste dell’interpretazione marxista – percepita come lotta delle forze imprenditoriali per adattare le istituzioni del governo alle esigenze di una società più efficiente, più razionale e economicamente più progredita? O fu invece la rivolta della disperazione, manovrata dagli elementi decaduti e conservatori della società rurale, la ‘gentry’ come la vede H.R. Trevor-Roper, gente che sperava di poter ricreare quella società decentralizzata, introversa, stabile sul piano sociale e stagnante su quello economico, com’era nei suoi sogni disperatamente anacronistici? Negli ultimi cinquant’anni la storiografia della Rivoluzione inglese ha attraversato tre fasi relativamente ben definite” (pag 179-180) [Lawrence Stone, ‘Viaggio nella storia’, Laterza, Roma, 1987]