“Nelle discussioni metodologiche degli storici dell’economia, la concezione materialistica della storia, è, di solito, assunta come un esempio di determinismo. Ma, in primo luogo, non è poi così sicuro (come molti sembrano credere) che la concezione materialistica della storia abbia carattere deterministico; in secondo luogo, è molto probabile che il suo significato nella storia economica sia stato fortemente sopravvalutato. Affermando che la struttura economica determina il carattere della sovrastruttura, la concezione materialistica della storia sembrava esaltare l’importanza della storia economica; al tempo stesso, però, il forte rilievo dato al nesso tra fenomeni economici e fenomeni extraeconomici ha spinto molti studiosi ad interessarsi di questioni che con la storia dell’economia hanno ben poco a che fare. Che i dipinti di Rembrandt, i drammi di Shakespeare o i romanzi di Tolstoj possano essere spiegati facendo riferimento, in modo diretto od indiretto, alle sottostanti condizioni economiche, è cosa che travalica completamente il campo d’interessi degli storici dell’economia. Tuttavia, l’implicita tendenza della dottrina a considerare come autosufficienti gli avvenimenti che si producono nella sfera economica e a vedere, di conseguenza, nella tecnologia e nei suoi sviluppi, dei fattori economici endogeni, ebbe un peso non indifferente nel modo di concepire lo studio della storia economica. Questa posizione dogmatica non poté esser mantenuta a lungo: nelle sue famose «quattro lettere» (10), Engels ammise l’esistenza di un’interazione tra il fattore economico e i fattori non economici e affermò che, secondo la concezione materialistica della storia, l’elemento economico determina solo «in ultima analisi» lo svolgimento concreto degli avvenimenti. Ma era una posizione difficilmente difendibile. Una volta ammessa l’esistenza di un circolo di cause e di effetti, nel senso che i fattori economici influenzano i fattori politici, e questi ultimi, a loro volta, reagiscono sull’economia, un’«ultima analisi» (o «ultima istanza») diventa impossibile. In un circolo non vi è nessun «primo» e nessun «ultimo», soprattutto se la realtà economica si presenta all’osservatore come una molteplicità di circoli intersecantisi e di circoli nei circoli” (pag 45-46) [Alexander Gerschenkron, ‘La continuità storica. Teoria e storia economica’, Einaudi, Torino, 1976] [(10) M.M. Bober, Karl Marx’ interpretation of history, Cambridge, Mass., 1948, pp. 306-10]