“Nell’ ‘Ideologia tedesca’ Marx ed Engels avevano immaginato la società comunista come il luogo in cui l’uomo, liberatosi dei condizionamenti materiali che esistono nel «regno della necessità», avrebbe costruito il «regno della libertà», dove ognuno sarebbe stato libero di vivere la sua vita seguendo le sue inclinazioni e di essere, insieme, cacciatore, pescatore, pastore e intellettuale (16). Engels aveva delineato una società ideale in cui la produzione sarebbe stata organizzata «in base a una libera ed eguale associazione di produttori» e la macchina statale sarebbe stata relegata «nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all’ascia di bronzo» (17). In ‘Stato e rivoluzione’ Lenin aveva ripreso questa tesi di Engels e, contro l’uso che ne facevano i riformisti, aveva precisato che solo lo Stato proletario si sarebbe «estinto» pacificamente, mentre quello borghese doveva essere «soppresso» dalla rivoluzione proletaria (18). Gramsci aveva una visione meno utopistica dell’estinzione dello Stato e della nascita del «regno della libertà». Sul modo come arrivarci non si discostava dalla linea indicata da Lenin: anche lui sosteneva che, nel corso del periodo di transizione, il proletariato doveva esercitare la dittatura. La borghesia non ne aveva avuto bisogno per far nascere la società borghese, perché molti elementi di questa erano sorti e si erano sviluppati già prima che la borghesia conquistasse il potere politico. Dopo averlo conquistato, per un certo periodo, essa si era anche posta «come un organismo in continuo movimento, capace di assorbire tutta la società, assimilandola al suo livello culturale ed economico» (19). La borghesia, insomma, aveva costruito un modello ideale di società in cui avrebbe non solo esercitato la sua egemonia sulle altre classi, ma le avrebbe mano a mano assorbite, espandendosi. Gramsci riteneva che non vi fosse riuscita: la classe borghese si era «saturata» e, invece di espandersi ulteriormente, si stava disgregando. Incapace di dirigere le altre classi, la borghesia era tornata alla concezione della Stato come pura forza. Gramsci aveva davanti agli occhi l’esempio dell’Italia, dove questo ritorno all’impiego della forza aveva prodotto il fascismo, che tentava di rinsaldare il vecchio ordine sociale con metodi coercitivi (20)” (pag 201-202) [Aurelio Lepre, ‘Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci’, Laterza, Bari Roma, 1998] [(16) Karl Marx Friedrich Engels, ‘L’ideologia tedesca’, Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 24; (17) Friedrich Engels, ‘L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato’, Editori Riuniti, Roma, 1963, p. 204; (18) Lenin, ‘Stato e rivoluzione’, a cura di Valentino Gerratana, Editori Riuniti, Roma, 1970; pp. 71-80; (19) Gramsci, ‘Quaderni del carcere’, cit., p. 937; (20) Ivi, p. 876]