“Si sta alterando il ritmo circadiale, non solo nelle fabbriche in cui vi sono squadre notturne o turni alterni, ma nella vita quotidiana, col prolungamento della giornata verso la notte e con la riduzione o alterazione del sonno. Nel lavoro industriale, il fatto che l’adirvi sia oggi preceduto da una lunga fase formativa, la scuola, fa risaltare ancor più il rischio, già intravisto da Adam Smith, che un uomo che spende tutta la vita eseguendo poche operazioni semplici diventi «stupido e ignorante quanto è possibile a creatura umana» (5). Wiener ha osservato che oggi «l’individuo umano rappresenta un costoso investimento di studio e di cultura, un investimento che nelle condizioni della vita moderna si prolunga forse per un quarto di secolo e a volte quasi per metà della vita», e che perciò il lavoro privo di intelletto «costituisce una degradazione della natura stessa dell’uomo e, dal punto di vista economico, uno sperpero dei valori più preziosi e più umani che l’uomo possieda… Coloro che vorrebbero organizzarci in conformità di funzioni individuali permanentemente prestabilite e di permanenti restrizioni individuali, come quelle della formica, condannano la razza umana a muoversi ad un ritmo ridotto. Essi eliminano la maggior parte della nostra capacità di variazione, e delle nostre probabilità di una esistenza terrena ragionevolmente lunga» (6)” (pag 76-77) [(5) La considerazione è svolta in ‘Wealth of Nations’, Libro V, cap. I, art. II, ed è ripresa da K. Marx, ‘Il capitale’, Libro I, 2, Roma, Edizione Rinascita, 1952, pp. 61-64, con numerosi esempi (fra cui il fatto che, nel XVIII secolo, alcune manifatture adoperavano per operazioni semplici, che però costituivano segreti di fabbrica, proprio dei semi-idioti); (6) N. Wiener, ‘Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani’, Torino, Boringhieri, 1966, p. 75]
“Nel definire la funzione dell’uomo nei confronti della natura, Marx parla a volte di ‘dominio’, più spesso di ‘ricambio’. Egli, concepisce i rapporti di produzione storico-economici’ non soltanto come rapporti fra gli uomini, o fra le classi: «Il complesso di questi rapporti in cui i rappresentanti di questa produzione stanno con la natura e fra di loro, in cui producono, costituisce precisamente la società, considerata nella sua struttura economica» (8); egli rifiuta il «ritorno alla natura» come negazione del pluslavoro, del lavoro eccedente la misura dei bisogni dati, che però «nel sistema capitalistico come in quello schiavistico ecc. assume semplicemente una forma antagonistica ed è completato dall’ozio assoluto di una parte della società», anche se «uno degli aspetti in cui si manifesta la funzione civilizzatrice del capitale è quello di estorcere questo pluslavoro in un modo e sotto condizioni che sono più favorevoli allo sviluppo delle forze produttive, dei rapporti sociali, e alla creazione degli elementi di una nuova e più elevata formazione», cioè per giungere alla fase dei produttori associati che regolano razionalmente il ricambio con la natura (9). All’affermazione frequente di una «priorità» della natura esterna, si accompagna la polemica verso chi valorizza «la natura inorganica come tale, ‘rudis indigestaque moles’ in tutta la sua selvaggia primitività» (10), e la tesi che ormai «questa natura che precede la storia umana non è la natura nella quale vive Feuerbach, non la natura che oggi non esiste più da nessuna parte, salvo forse in qualche isola corallina australiana di nuova formazione» (11)” (pag 78-79) [(8) K. Marx, ‘Il Capitale. Critica dell’economia politica’, Roma, Edizioni Rinascita, 1956, Libro III, 3, p. 230; (9) Ivi, pp. 229-231; (10) Ivi, p. 226; (11) K. Marx F. Engels, L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 41]