“Una volta si diceva che il Messico era il più felice di tutti i paesi con alti profitti che venivano reinvestiti e slogan rivoluzionari per mantenere docili le classi lavoratrici. Mentre la crescita messicana è in corso, nessuno dei due aspetti di quella situazione un tempo felice sembra realizzato: i ricchi vivono vite opulente e i poveri diventano irrequieti. Vale la pena di pensare ancora una volta alla rivoluzione industriale in Gran Bretagna. Osservandola dal continente, tedeschi e francesi bramavano il forte aumento della produttività, ma, come Engels, deploravano le condizioni misere in cui le classi lavoratrici dovettero vivere, e da cui si ribellarono in molte occasioni da Peterloo nel 1819 alla rivolta cartista del 1840. È utile ricordare che gran parte di questa agitazione era il risultato della rottura del sistema delle corporazioni, basato sul lavoro manuale operante in mercati monopolizzati, e della sofferenza della proto-industria – lavoratori a domicilio indipendenti – sottoposti alla concorrenza della fabbrica. Notevole, comunque, fu la conseguenza della legge ferrea dei salari, il modello Lewis o Marx di offerte illimitate di lavoro, o di un esercito industriale di riserva, che rendeva la crescita continua, tranne per intervalli periodici di crisi finanziaria. In 100 anni ha funzionato bene e ha portato al più alto livello di vita eccetto le zone spopolate dell’America e le regioni di recente insediamento. Ma il recente risultato della crescita può essere stato una magra consolazione per le successive generazioni di lavoratori e lavoratrici che hanno dovuto aspettare che ne beneficiassero i loro pronipoti” (pag 41-42) [Charles P. Kindleberger, Economic Laws and Economic History, Cambridge University Press, Cambridge, 1980]