“[Nel modo di produzione feudale, ndr] [il] valore d’uso prevale quindi sul valore di scambio (78). Lo sviluppo del commercio e della circolazione monetaria costituisce infatti il «solvente» del sistema feudale, a partire dal momento in cui quest’ultimo entra in crisi a causa delle sue contraddizioni interne. Il feudalesimo è dunque visto da Marx, conformemente alla concezione materialistica della storia, non tanto o non semplicemente come una istituzione politica, ma come una formazione economica-sociale basata su un ben determinato modo di produzione: il servaggio. E questo intende dire Marx quando scrive: «La specifica forma economica, in cui il pluslavoro non pagato è succhiato ai produttori diretti, determina il rapporto di signoria e servitù, come esso è originato dalla produzione stessa e da parte sua reagisce su di essa in modo determinante. Ma su ciò si fonda l’intera configurazione della comunità economica che sorge dai rapporti di produzione stessi, e con ciò insieme la sua specifica forma politica» (79). L’elemento centrale del feudalesimo, ciò che lo definisce, non è dunque il rapporto giuridico tra vassallo e signore, o un qualunque altro elemento sovrastrutturale, ma, per esprimerci con Dobb, il «rapporto tra il produttore diretto (artigiano in una bottega o contadino nelle campagne) e il suo superiore immediato o il suo signore, e [il] contenuto economico-sociale dell’obbligazione che lega l’uno all’altro» (80). Con ciò si viene a stabilire una equivalenza tra feudalesimo e servaggio, – peraltro esplicitamente dichiarata da Dobb (81), – che può presentare qualche difficoltà. E questo è uno dei punti problematici della concezione marxista del feudalesimo. Sweezy, in occasione di una famosa polemica, considerò la posizione di Dobb «insufficiente» in quanto il servaggio non identifica un ‘sistema’ di produzione cioè una formazione economico-sociale nella sua totalità, e «troppo generale» in quanto «’qualche’ servaggio può esistere in sistemi che sono chiaramente non feudali». «Anche come relazione dominante di produzione – aggiunge Sweezy – il servaggio è stato associato in tempi differenti e in differenti regioni con differenti forme di organizzazione economica» (82). Il discorso di Sweezy è avvalorato da una nota lettera di Engels a Marx del 22 dicembre 1882. Scrive Engels: «Mi fa piacere constatare che per quanto riguarda la storia del servaggio “concordiamo”, come si dice con stile affaristico. Certamente il servaggio e il regime di prestazioni non sono una forma specificamente medioevale e feudale, l’abbiamo ovunque o quasi laddove i conquistatori fanno coltivare la terra a loro profitto dagli antichi abitanti – nella Tessaglia, per esempio, molto presto. Ciò ha disorientato perfino me e molti altri nelle indagini sul servaggio medioevale; era troppo bello fondarlo semplicemente sulla conquista, ciò rendeva la cosa tanto facile e semplice. Vedi fra gli altri Thierry» (83). Sembra che ciò sia in contraddizione col principio marxista della corrispondenza tra la base economica e istituzioni sovrastrutturali (…). Ma la posizione di Marx è in realtà molto più articolata e meno schematica di quanto talvolta si vuol far credere. È vero che, nello stesso capitolo 47° del Libro III del ‘Capitale’, egli afferma il principio della corrispondenza, scrivendo «È sempre il rapporto diretto tra i proprietari delle condizioni di produzione e i produttori diretti – un rapporto la cui forma ogni volta corrisponde sempre naturalmente ad un grado di sviluppo determinato dei modi in cui si attua il lavoro e quindi della sua forza produttiva sociale – in cui noi troviamo l’intimo arcano, il fondamento nascosto di tutta la costruzione sociale e quindi anche della forma politica del rapporto di sovranità e dipendenza, in breve della forma specifica dello Stato in quel momento». Ma, ben consapevole della complessità della questione, subito dopo aggiunge: «Ciò non impedisce che la medesima base economica – medesima per ciò che riguarda le condizioni principali – possa manifestarsi in infinite variazioni e gradazioni, dovute a numerose e diverse circostanze empiriche, condizioni naturali, rapporti di razza, influenze storiche che agiscono dall’esterno, ecc.: variazioni e gradazioni che possono essere comprese soltanto mediante un’analisi di queste circostanze empiriche date» (85)” (pag 237-239) [Silvano Sportelli, ‘Marx ed Engels sul feudalesimo’, (in) Critica marxista, Roma, n. 5, settembre-ottobre 1973] [(78) Non si deve pensare a un’assenza completa di transazioni monetari. Ma, come osserva P. Sweezy (‘The Transition from Feudalism to Capitalism’, cit., pp. 2-3), i mercati sono per la maggior parte locali e il commercio a lunga distanza è troppo debole per potere «giocare un ruolo determinante negli scopi e nei metodi di produzione»; (79) K. Marx, ‘Il Capitale’, vol. III, cit., pp. 902-903; (80) M. Dobb, ‘Problemi di storia del capitalismo’, trad. it., Roma, Editori Riuniti, 1958, p. 53; (81) «Pertanto, feudalesimo equivarrà virtualmente a ciò che si intende in genere per ‘servaggio’ (Ivi, p. 53); (82) P. Sweezy, op. cit., p. 1; (83) Carteggio Marx-Engels, cit., vol. VI, p. 418; (85) K. Marx, ‘Il capitale’, vol. III, cit., p. 903]