“Nell”Ideologia tedesca’ il nesso fra linguaggio e prassi è chiaramente sussunto nel rapporto tra relazioni materiali e coscienza (di cui il linguaggio è manifestazione originaria): “Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono… come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo. Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee ecc., ma gli uomini reali, operanti, così come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente, l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita” (K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, trad. it., di F. Codino, 1967, p. 13). Ma la coscienza, proprio in quanto coscienza reale (in quanto, cioè, non è mai coscienza “pura”), è fin dall’inizio linguaggio (Ivi, pp. 20-21). Piu d’un occasionale riferimento, nell”Ideologia tedesca’ indica chiaramente il pensiero di Marx ed Engels sulla nascita del linguaggio insieme con la coscienza, anzi ‘come’ coscienza reale, dalla prassi sociale. Il linguaggio nasce dal bisogno, dal lavoro associato, e ne riflette le vicende. La divisione del lavoro e il distacco dell’attività mentale dall’attività manuale generano anche il divorzio della coscienza e del linguaggo dalla prassi: la coscienza si emancipa dal mondo, il linguaggio dalla vita reale. Lo stesso processo, com’è noto, è descritto nel saggio engelsiano su ‘La parte avuta dal lavoro nell’umanizzazione della scimmia’ sulla falsariga della teoria darwiniana dell’evoluzione, alla quale tuttavia Engels rimprovera l’incapacità di liberarsi dall’influsso ideologico dell’idealismo, che consiste proprio nell’affermazione dell’autonomia della coscienza, nella tendenza a spiegare la storia dell’uomo con il pensiero invece che con i bisogni. Anche altrove Engels si occupa di problemi linguistici: talvolta toccando materie specifiche come la dialettologia (nello scritto ‘Der fränkische Dialekt’ (5) e la grammatica comparata come strumento per lo studio della materia e della forma della lingua (6); talvolta con riferimenti generici alla formazione del linguaggio nell’evoluzione dell’umanità (7). Ma il saggio su ‘La parte del lavoro’ contiene la trattazione certamente più compiuta del nesso tra il modo specificatamente umano di rapportarsi al mondo e la nascita del linguaggio. E’ implicita, nella descrizione che Marx ed Engels fanno del rapporto tra linguaggio e “vita reale”, una critica del naturalismo che è alla base della linguistica illuminista come dell’economia classica e che aveva attribuito la genesi del linguaggio, come quella della produzione materiale, all’individuo singolo e isolato. Tale naturalismo, “apparenza estetica delle grandi e piccole robinsonate”, adombra la concezione del singolo nella società borghese, dove l’individuo appunto appare sciolto dai legami naturali con l’aggregato umano cui appartiene, appare “posto dalla natura stessa”. “La produzione ad opera dell’individuo isolato al di fuori della società”, scrive Marx, “è un nonsenso come lo sviluppo di una lingua senza individui che vivano ‘insieme’ e parlino tra loro” [Lia Formigari, introduzione, ‘Marxismo e teorie della lingua. Fonti e discussioni’, 1973] [(5) Lo si veda in ‘Zur Geschichte und Sprache der deutschen Frühzeit’, Berlin, 1952, pp. 123-52; (6) ‘Antidühring’, Roma, 1968, p. 34; (7) ‘L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, 1963, p. 51; (8) ‘Introduzione’ a ‘Per la critica dell’economia politica’, in Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma, 1966, p. 714]
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- Articolo pubblicato:18 Maggio 2013