“L’accettare i presupposti dell’economia politica, «della scienza che fa onore al pensiero», non impedisce però a Hegel, come non aveva impedito ai migliori rappresentanti di quella, di cogliere tutti i ritardi, le lentezze, le contraddizioni presenti nella società civile: dalla moltiplicazione all’infinito dei bisogni al lusso, dalle crisi di sovrapproduzione all’astratta potenza del denaro all’autolievitazione di un grande capitale, alla polarizzazione sociale tra ricchezza e «decadere di una gran massa al disotto della misura di un certo modo di sussistenza»; tutto questo, insieme alla generalizzazione del rapporto di scambio e alla divisione del lavoro e ai suoi effetti alienanti, tutto questo dicevamo, Hegel vide con una certa chiarezza fin da Jena, dove la natura, dentro il processo teleologico operato dall’astuzia della ragione con la scoperta dello strumento della macchina, sembra volersi vendicare dell”inganno’ subito e vestendo i panni dell’ebraico ‘destino’, assoggetta gli uomini di tanto, di quanto quelli hanno creduto di avvantaggiarsi su di lei: «In quanto egli fa lavorare la natura per mezzo di macchine di diverso genere, non toglie così la necessità del suo lavorare, ma lo sposta soltanto, lo allontana… e il lavorare che gli avanza diventa esso stesso più meccanico; egli diminuisce il lavoro per il tutto, ma non per il singolo, anzi lo accresce, piuttosto, poiché quanto più meccanico diventa il lavoro, tanto meno ha valore, e tanto più in questo modo egli deve lavorare… Il suo lavoro è per il bisogno – per l’astrazione di un bisogno – in quanto un universale, non in quanto suo bisogno; e la soddisfazione della totalità dei bisogni è un lavoro di tutti» (16). Così a Jena, ma non diverso sarà il livello di comprensione della realtà economica a Berlino, e anzi proprio nelle ‘Grundlinien’ si rende manifesto come la centralità della società civile «e la forte sottolineatura del ruolo dello Stato devono ricondursi a questa matrice di crisi storica, alla necessità di subordinare e controllare la disgregazione» (17). Certo anche riferito a Hegel ha senso quello che Marx diceva degli economisti : «Così c’è stata storia ma ormai non c’è n’è più», ma questo non è in verità il migliore dei mondi possibili, e se è vero che il riconoscimento del suo essere affetto da contraddizioni è accompagnato dalla fiducia che lo spirito possa dominare la ‘bestia selvaggia’ ricomponendo e gestendo la contraddizione, è anche vero, però, che solo al funzionamento di un delicato sistema di pesi e contrappesi è affidata la possibilità del difficile equilibrio” (pag 83-84) [(16) Riedel, ‘Hegel fra tradizione e rivoluzione’, Bari, 1975, p. 131; (16) G.W.F. Hegel, ‘Filosofia dello spirito jenese’, Bari, 1971, pp. 96-97; (17) R. Bodei, ‘Sistema ed epoca in Hegel’, Bologna, 1975, p. 325] [Domenico Taranto, ‘Logica e storia in Hegel’, ‘Critica marxista’, Editori Riuniti, Roma, n.2 marzo-aprile 1976]