“Una volta Karl Marx, nel farsi beffe dell’economia politica borghese, ebbe a scrivere che si trattava della più morale fra le scienze, che il suo ideale era «un avaro, asceta, ma usuraio, e uno schiavo asceta ma produttore di beni». «Il suo dogma principale. – scriveva Marx, – è l’abnegazione, la rinuncia alla vita e a tutti i bisogni umani. Meno mangi, meno bevi, meno libri comperi, meno frequenti i teatri, i balli, i caffè, meno pensi, ami, teorizzi, canti, disegni, vai a pesca ecc., tanto più risparmi e tanto più cresce quel tuo patrimonio che né le tarme né la ruggine potranno intaccare, cioè il tuo capitale». Questa definizione getta luce sulla concezione positiva di Marx. Il comunismo marxista si propone il massimo sviluppo dei bisogni umani, mira a un uomo completo, dallo sviluppo il più multiforme possibile, e non a un individuo che per un verso o per l’altro sia un povero castrato. Amare, teorizzare, disegnare, pensare, andare a pesca – indubbiamente Marx paragonava volutamente grandezze così incommensurabili fra loro – non soltanto non sono «peccato», ma sono tutte funzioni di un uomo veramente uomo, per il quale lo stesso lavoro diventa «un bisogno vitale». Ecco verso che cosa avanziamo e lo facciamo superando enormi ostacoli, fra mille lotte, ma avanziamo. Ed ecco la conclusione: materiale della creazione poetica può e deve essere la vita in tutta la sua multiformità” [N. Bucharin, Relazione: ‘La poesia, la poetica e i compiti della creazione poetica nell’Urss’] [(in) ‘Rivoluzione e letteratura. Il dibattito al primo congresso degli scrittori sovietici’ (1934), a cura di Giorgio Kraiski, Bari, 1967]
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- Articolo pubblicato:19 Settembre 2017