“Le citazioni dagli articoli, dalle recensioni e dal carteggio potrebbero anche infoltirsi, ma non farebbero che convalidare quanto ormai risulta dall’insieme del discorso: sia nei confronti degli avversari che dei suoi stessi alleati Belinskij assunse una posizione originale e gravida di sviluppi: egli vide chiaramente che il capitalismo, con il suo bene e con i suoi tanti mali, avrebbe infine trionfato in Russia, sostituendosi all’antiquato e ingiusto e inumano regime feudale, e non si illuse utopisticamente (come accadde allo stesso Herzen e, più tardi, a Cernysevskij) sull’obscina, quale mezzo per operare il «salto del capitalismo» e giungere direttamente all’assetto socialista; ma egli comprese con altrettanta acutezza e persino con genialità (se si pensa alla situazione storico-sociale in cui le sue proposizioni vennero formulate) che il capitalismo e le forme politiche liberal-borghesi non avrebbero assicurato la completa libertà e il benessere delle masse popolari (1), che la struttura capitalistica sarebbe stata una condizione necessaria, e tuttavia transitoria, solo un «momento», più o meno esteso nel tempo, per compiere il trapasso a uno stadio economico-sociale superiore, più libero e più giusto. In tal senso, egli vide molto più lontano non solo degli «occidentalisti» liberali del suo tempo, ma anche dei populisti degli anni settanta-novanta e degli stessi marxisti «legali», e si andò accostando, ormai alla vigilia della morte, alla prospettiva secondo la quale aveva «già cominciato a operare a quel tempo ‘il pensiero rivoluzionario dell’occidente’», il socialismo scientifico di Marx e di Engels (2). In realtà, Belinskij non abbandonò «sempre più le sue idee socialiste per una visione più realistica» e non si propose di «restare alla testa degli “occidentalisti”, di coloro che diverranno liberali» (3), come invece per raccogliere ed esprimere sempre più nitidamente nelle sue concezioni l’ansia profonda di emancipazione del popolo russo, le istanze più radicali, democratiche e rivoluzionarie, delle masse contadine e piccolo-borghesi, delle forze intellettuali plebee, oppresse e sfruttate dal regime dell’autocrazia feudale: lo attesta, se non altro, la celebre lettera-pamphlet in cui, prendendo lo spunto dalle idee mistico-irrazionalistiche enunciate da Gogol nei ‘Brani scelti del carteggio con gli amici’ (1846), il critico tirava «il bilancio di tutta la sua attività letteraria» (Lenin) e scriveva il suo «testamento spirituale» (Herzen)” [Ignazio Ambrogio, ‘Belinskij e la teoria del realismo’, Roma, 1963] [(1) Cfr., ad esempio, la seguente opinione (nell’articolo sui ‘Misteri di Parigi’ di Sue, 1844, ora in ‘Pol. sobr. soc., VIII, pp. 171-172) sui limiti della democrazia borghese (…); (2) Georgij Plechanov, ‘Socinenija’, X, pp. 347-348. E’ da notare che per mezzo di Plechanov, comunque si giudichi la sua interpretazione, il pensiero democratico russo – non solo Belinskij, ma anche Cernysevskij, Dobroljubov, ecc. – venne immesso per la prima volta nel circolo della cultura europea. Quest’opera è stata proseguita, con maggiore o minor successo, dalla storiografia sovietica; (3) Franco Venturi, ‘Il populismo russo’, I, p. 89, 90. L’opinione di uno slittamento “a destra” di Belinskij, nel periodo del ‘Sovremennik’, fu già espressa da Vladislav Evgeniev-Maksimov (…)]