“A questo punto possiamo fermarci un momento per chiarire l’origine di questa insistenza; diffusasi di recente, sulla funzione del caso nella storia. A quanto pare, il primo storico ad affrontare sistematicamente questo problema fu Polibio, per un motivo prontamente individuato da Gibbon. «I greci – osservò Gibbon – dopo che la loro patria era stata ridotta al rango di provincia, attribuirono i trionfi di Roma non al merito, ma alla fortuna» (1). Un altro storico dell’antichità propensa a far diffuse riflessioni sul caso, fu Tacito, che scrisse anch’egli la storia della decadenza della propria patria. La rinnovata insistenza da parte degli storici inglesi sull’importanza del caso nella storia deriva dal diffondersi di uno stato d’animo d’incertezza e di apprensione iniziato con questo secolo, e accentuatosi dopo il 1914. A quanto pare, il primo storico inglese che dopo un lungo silenzio fece risuonare questa nota, fu Bury, che, in un saggio del 1909 sul ‘Darwinismo nella storia’, sottolineò l’«elemento di coincidenza casuale» che contribuisce in larga misura «a determinare gli eventi dello sviluppo della società», e nel 1916 dedicò a questo problema un intero saggio intitolato ‘Il naso di Cleopatra’ (2). H.A.L. Fisher, nel passo già ricordato, che riflette la sua disillusione per il fallimento dei sogni liberali seguito alla prima guerra mondiale, chiede ai lettori di rendersi conto dell’«azione del contingente e dell’imprevedibile» nella storia (3). Il diffondersi nel nostro paese di una concezione della storia come susseguirsi di accidenti, ha coinciso con l’ascesa in Francia di una scuola filosofica che sostiene che l’esistenza – cito dal celebre libro di Sartre ‘L’Etre et le néant’ – non ha «né causa né ragione né necessità». In Germania, come abbiamo già osservato, il venerando Meinecke scoprì sul finir della propria vita l’importanza del caso nella storia. Egli rivolse a Ranke il rimprovero di uno aver preso abbastanza in considerazione questo elemento, e, dopo la seconda guerra mondiale, attribuì i disastri subiti dalla Germania negli ultimi quarant’anni a una serie di eventi accidentali, come la vanità del Kaiser, l’elezione di Hindenburg alla presidenza della repubblica di Weimar, la personalità ossessiva di Hitler, e così via – col che esprimeva lo sfacelo intellettuale di un grande storico sotto il peso delle sciagure del proprio paese (4). In un gruppo o in un paese che si trovino nel cavo anziché sulla cresta dell’onda degli eventi storici, si vedranno prevalere le concezioni che sottolineano la funzione del caso o dell’accidentale nella storia. Gli studenti che ricevono dei brutti voti hanno sempre aderito alla teoria che gli esami sono un terno al lotto. Ma scoprire le origini di una convinzione non significa risolvere il problema. Dobbiamo ancora decidere che cosa ci stia a fare di preciso il naso di Cleopatra nelle pagine della storia. A quanto pare, il primo che tentò di difendere le leggi della storia da questa intrusione fu Montesquieu. «Se una causa particolare, come l’esito accidentale di una battaglia, ha condotto uno Stato alla rovina – egli scrisse nella sua opera sulla grandezza e decadenza dei romani – esisteva una causa di carattere generale che provocò la caduta di quello Stato per colpa di un’unica battaglia». Anche i marxisti si trovarono in difficoltà di fronte a questo problema. Marx se ne occupò una volta sola e per di più in una lettera: «La storia universale avrebbe un carattere davvero mistico se essa escludesse il caso. Naturalmente anche il caso diventa a sua volta parte del generale processo di sviluppo ed è compensato da altre forme di casualità. Ma l’accelerazione e il ritardo dipendono da questi “accidenti”, che includono il carattere “casuale” degli individui che sono alla testa di un movimento nella sua fase iniziale» (5). In tal modo Marx difendeva l’importanza del caso nella storia da tre punti di vista. In primo luogo, esso non avrebbe molta importanza: potrebbe «accelerare» o «ritardare» ma, è sottinteso, non modificare radicalmente il corso degli eventi. In secondo luogo, un accidente sarebbe compensato da un altro, cosicché in ultima analisi l’accidentalità stessa si dissolverebbe. In terzo luogo, l’esempio tipico di casualità sarebbe rappresentato dal carattere degli individui (2). Trotsky rafforzò la teoria della compensazione e della reciproca neutralizzazione degli accidenti storici mediante un’ingegnosa analogia: «L’intero processo storico consiste in una rifrazione delle leggi storiche attraverso un elemento accidentale. Per esprimermi come i biologi: le leggi della storia si realizzano mediante la selezione naturale degli accidenti» (3). Confesso che questa teoria mi pare insoddisfacente e poco convincente. Oggi, la funzione del caso nella storia è notevolmente esagerata da coloro che sono interessati a sottolinearne l’importanza. Tuttavia essa esiste, e dire che si limita a provocare accelerazioni o ritardi, ma non apporta modificazioni reali, significa giocare con le parole. Per di più, non vedo il motivo per cui un evento casuale – per esempio, la morte prematura di Lenin all’età di cinquantaquattro anni – sia compensato automaticamente da qualche altro accidente, in modo da riequilibrare la bilancia del processo storico” [Edward H. Carr, ‘Sei lezioni sulla storia’, Torino, 1966] [(1) ‘Decline and Fall of the Roman Empire’, cap. XXXVIII. E’ divertente osservare che anche i greci, dopo la conquista romana, si dilettarono al gioco della «storia fatta con i se», consolazione preferita degli sconfitti: e andavano ripetendosi che Alessandro Magno, se non fosse morto giovane «avrebbe conquistato l’Occidente, e Roma sarebbe diventata suddita dei re greci» (K. von Fritz, ‘The Theory of the Mixed Constitution in Antiquity’, New York, 1954, p. 395; (2) Entrambi gli articoli sono stati ripubblicati in J.H. Bury, ‘Selected Essays’, 1930; per le osservazioni di Collingwood in proposito, cfr. ‘The Idea of History’, pp. 148-50; (3) Cfr. sopra, p. 48. Toybee citò il passo di Fisher (‘A Study of History’, V, 414) fraintendendolo completamente. Toynbee attribuisce la frase alla «moderna credenza occidentale nell’onnipotenza del caso», che «diede origine» al ‘laissez-faire’. Ma i teorici del ‘laissez-faire non credevano nel caso, bensì in una «mano occulta» che armonizzava le discordanti azioni umane; quanto all’osservazione di Fisher, essa va attribuita non al liberalismo basato sul ‘laissez-faire’, ma al crollo di questa concezione tra il 1920 e il 1940; (4) I passi relativi sono citati da W. Stark nella sua introduzione a F. Meinecke, ‘Machiavellism’, pp. XXXV-XXXVI; (5) K. Marx e F. Engels, Opere (ed. russa), XXVI, 108; (6) Tolstoj nel primo epilogo di ‘Guerra e pace’ affermò che tanto il «caso» che il «genio» sono termini che esprimono l’incapacità degli uomini di attingere la cause ultime; (6) Trotsky, ‘La mia vita’, (trad. ingl., 1930, p. 422)]
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- Articolo pubblicato:22 Ottobre 2017