“Il termine e la nozione di aristocrazia operaia sono perciò ereditati piuttosto passivamente e non sono oggetto di un approfondimento critico e di un inveramento storico. Manca fino ad oggi, per quanto concerne la Germania, alcunché di analogo all’interessante saggio che lo Hobsbawn ci ha dato per l’Inghilterra sulla consistenza, la natura e le caratteristiche del fenomeno dell”aristocrazia operaia’ in quel paese (78). E sì che l’urgenza di precisare questo fenomeno è tanto maggiore per la Germania, dove il fenomeno di un”aristocrazia operaia’ ebbe comunque un carattere assai meno evidente e cospicuo che in Inghilterra. Un approfondimento ed un’analisi del concetto di ‘aristocrazia operaia’ non troviamo neppure nel lavoro dello Aisin, che pure impiega sovente tale termine e tale concetto (79). La questione è invece affrontata con un certo impegno ed una certa ampiezza nel  lavoro dello Schlesinger, il quale rileva come la nozione più corrente che nella letteratura marxista viene proposta relativamente all”aristocrazia operaia’, quella cioè di una minoranza di lavoratori qualificati e meglio pagati, mal si concilia con la spiegazione parimenti corrente che della rilevanza politica di tale minoranza viene data: essere cioè essa compartecipe dei sopraprofitti che la grande industria capitalistica realizza, in quanto tale, attraverso lo sfruttamento dei mercati coloniali. Che anzi lo sviluppo della produzione di massa, il carattere sempre più sociale assunto dalla medesima nell’età dell’imperialismo tende a ridurre sempre più la consistenza stessa e l’influenza degli strati di lavoratori qualificati. Il fatto nuovo nel mondo del lavoro nei primi decenni di questo secolo non è certo lo enuclearsi di aristocrazie operaie, quanto piuttosto quello dell’avvento sulla scena della lotta politica e sociale di masse sempre più larghe di lavoratori. Stando così le cose – annota lo Schlesinger – se per aristocrazia operaia si definiscono coloro che profittano direttamente dell’espansione imperialista e dei sovraprofitti da essa derivati, è ovvio che tale strato è troppo ridotto e, salvo eccezioni, troppo discosto dai principali centri del movimento operaio per spiegare sviluppi così importanti. Se invece è pensato come l’insieme di coloro che sono capaci di ottenere miglioramenti materiali in conseguenza della prosperità dei loro imprenditori, è evidente che un aumento della somma di profitto distribuibile tenderà a trasformare quel gruppo da una mera minoranza aristocratica in una maggioranza dell’intera classe lavoratrice (80). In questo senso l”aristocrazia operaia’ non ha tanto una rilevanza sociologica reale, quanto piuttosto il valore di una tendenza e di un’indicazione politica. Il prevalere del riformismo nel movimento operaio di determinati paesi non può, in altre parole, esser spiegato con il ricorso ad un fattore oggettivo il cui peso reale tende ad esser sempre più ridotto dalle leggi generali di sviluppo della produzione moderna. Sarebbe, semmai, più giusto ritenere che è la penetrazione del riformismo e la sua affermazione come ideologia della classe operaia nel suo complesso che contribuisce a dare all”aristocrazia operaia’ e al suo ‘comportamento’ politico-sindacale un rilievo ed un valore di norma superiore alla sua consistenza e rilevanza oggettiva. In altri termini il concetto di ‘aristocrazia operaia’ è più un concetto politico che sociologico, che, lungi dal risolvere il problema delle ‘origini’ e delle ‘condizioni’ in cui il riformismo si sviluppa, non fa che sottolineare il problema storico del riformismo stesso. Là dove si era creduto di individuare una causa, non troviamo che un elemento e là dove si era creduto di trovare una spiegazione, ci imbattiamo, in definitiva, in una tautologia” [Giuliano Procacci, ‘Studi sulla II Internazionale e sulla Socialdemocrazia tedesca’] [in ‘Annali’ Feltrinelli, Milano, I, 1958] [(78) Si veda il saggio di E.J. Hobsbawm, ‘The Labour Aristocracy in 19th Century Britain’, in ‘Democracy and Labour Movement. Essays in honour of Dona Torr’, London, 1954, pp. 201-239; (79) op. cit., p. 51; (80) Schlesinger, op. cit., p. 83. Conclusioni del resto non molto diverse si possono ricavare dallo stesso saggio del Kuczinsky citato più sopra [‘Ökonomische Basis und Zusammensetzung der Arbeiteraristokratie im Wandel eines Jahrhunderts’, in ‘Zeitschrift für Geschichtswissenschaft, 1954, fasc. 5, pp. 666-686]. In esso infatti lo storico tedesco rileva come il passaggio all’economia monopolistica dell’età dell’imperialismo porti a un restringimento degli strati di aristocrazia operaia (cfr. p. 679). Quest’ultima tende in progresso ad identificarsi con la ‘burocrazia operaia’, e cioè con l’apparato dei sindacalisti e con i funzionari di estrazione operaia degli uffici del lavoro, delle assicurazioni, etc. il Kuczinsky non spiega però come a questa riduzione quantitativa possa corrispondere un maggior rilievo politico]