“(…) Engels vedeva il futuro della comunità agricola tradizionale, ormai «forma relativamente indebolita di comunismo», solo in dipendenza da un mutamento radicale conseguente alle rivoluzioni operaie in Occidente. Ma aggiungeva: «E’ invece non soltanto possibile, ma certo che, dopo la vittoria del proletariato e il passaggio in possesso comune dei mezzi produttivi nei popoli dell’Europa occidentale, i paesi in cui il regime capitalistico ha appena cominciato a imporsi, e che hanno salvato dalla sua offensiva istituzioni gentilizie o loro sopravvivenze, trovino in queste vestigia di possesso collettivo e nelle abitudini popolari che vi corrispondono un mezzo poderoso per abbreviare di gran lunga il processo di evoluzione verso la società socialistica… Ma, per questo, è condizione imprescindibile l’esempio e l’aiuto fattivo dell’Occidente finora capitalistico» (100). Evidentemente Engels puntava molto sulla disgregazione della proprietà comunitaria in Russia, che tuttavia seppe mantenersi, al di là delle riforme di Stolypin (1906-11), fino alla collettivizzazione forzata delle terre avviata dal regime sovietico a partire dal 1929. La ‘zadruga’ [tra le antiche forme di comunità rurale del mondo slavo, ndr] poi – già lo abbiamo detto -, neppure oggi può essere considerata fenomeno marginale nell’ambito della realtà jugoslava. Soprattutto Engels aveva del tutto abbandonato l’idea che la scintilla rivoluzionaria potesse scoccare in Russia e di qui incendiare l’Occidente, polveriera di una rivoluzione che per un ritorno di fiamma si sarebbe propagata in un sol colpo alle terre russe già ad essa predisposte dalle proprie radicate tradizioni comunitarie. Tale era perlomeno lo scenario prefigurato da Marx nella prefazione all’edizione russa del 1882 del ‘Manifesto del Partito comunista’: «… se la rivoluzione russa diverrà il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente, in modo che le due rivoluzioni si completino a vicenda, allora l’odierna proprietà comune della terra in Russia potrà servire come punto di partenza ad uno sviluppo in senso comunistico» (101). Il decorso della storia ha dato ragione a Marx solo per metà; la rivoluzione non divampò in Occidente, malgrado i disordini del 1919 in Germania, soprattutto in Baviera, e in Ungheria. All’epoca i bolscevichi che controllavano la Russia centrale pensavano di servirsi dell’Ucraina come testa di ponte, un percussore che avrebbe innescato le rivoluzioni del proletariato occidentale. Nel gennaio del 1919 il capo dell’Armata rossa e del Partito bolscevico ucraino, Christian Rakovskij, dichiarava: «L’Ucraina sovietica rappresenta il nodo strategico del socialismo. Creare un’Ucraina rivoluzionaria e sovietica significa scatenare la rivoluzione nella penisola balcanica, dare al proletariato tedesco la possibilità di non soccombere alla morte, alla fame e all’imperialismo tedesco» (102)” [Francis Conte, Gli Slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale’, Torino, 1991] [(100) Marx Engels, ‘India, Cina, Russia’, cit., pp. 278; (101) Ibid. p. 246; (102) Conte, ‘Christian Rakovskij’, cit.]