“La critica ai procedimenti dell’economia borghese è, dunque, la stessa che Marx rivolge a quelli della religione. L’operaio «sta in rapporto al ‘prodotto del suo lavoro’ come ad un oggetto ‘estraneo’»; «quanto più l’operaio lavora tanto più acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea di fronte, e tanto più povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede. Come nella religione. Più l’uomo mette in dio e meno serba in se stesso» (112). A questo punto si delinea il distacco da Feuerbach. Non si tratta, per Marx, di recuperare ciò che l’uomo ha messo in dio sottraendolo al dio stesso, perché in tal modo si traduce l’alienazione religiosa in alienazione umana; ciò che conta, invece, è considerare attentamente la natura di quell’ente estraneo al quale l’uomo trasferisce la sua essenza. E Marx avverte chiaramente che quell’ente, «al quale appartiene il lavoro e il prodotto del lavoro, al servizio del quale sta il lavoro e per il godimento del quale sta il prodotto del lavoro, può essere soltanto l”uomo’ stesso». Quando il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e gli sta di fronte come una potenza estranea, ciò è solo possibile in quanto esso appartiene a un ‘altro uomo estraneo all’operaio’. Quando la sua attività gli è penosa, essa deve essere ‘godimento’ per un altro, gioia di vivere di un altro. Non gli dei, non la natura, soltanto l’uomo stesso può essere questa potenza estranea sopra l’uomo» (113)” (pag 195) [Angelo Broccoli, ‘Marxismo e Educazione’, La Nuova Italia, Firenze, 1978] [(112) K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., p. 195; (113) Ivi, p. 201]