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“Un nesso fra il metodo dell’economia politica classica, scienza borghese moderna per eccellenza, e la dialettica di Hegel dunque c’è: c’è nella mente di Hegel e c’è anche, da quel che si è visto, per Marx. È quindi un aspetto della questione dal quale non si può prescindere. L’altro aspetto è però che il metodo logico di Hegel, come osservava Engels già nel 1859, pur essendo «fra tutto il materiale logico esistente», vale a dire nell’ambito della produzione di ideologie che poteva aversi in Germania, «l’unica cosa a cui almeno ci si potesse appigliare», appariva sia a Marx sia a Engels assolutamente inutilizzabile per la trattazione dei «fatti testardi» dell’economia politica (33). Sarebbe abbastanza facile uscire dall’impasse col dire che la critica marxiana del 1843-44 della dialettica di Hegel – ossia del doppio processo per cui l’empiria dapprima trascesa in speculazione si capovolge nello scambio della speculazione in empiria o nel «positivismo acritico» di Hegel – coinvolgerà di lì a non molto (si pensi alla ‘Miseria della filosofia’ e all’ ‘Einleitung’) anche e per l’appunto il metodo dell’economia politica classica (…). Quando nei ‘Manoscritti economico-filosofici del 1844’ Marx parla del «punto di vista dell’economia politica moderna» da cui Hegel si pone, occorre insomma precisare subito che, al di là di implicazioni generali di metodo che accomunano l’economia politica qua talis e la filosofia hegeliana, si tratta innanzi tutto di un «punto di vista» d’importazione. Per la Germania della prima metà dell’Ottocento tale punto di vista era di fatto, come rileva Marx nel poscritto al ‘Capitale’, l’«espressione teorica di una realtà forestiera», vale a dire una teoria «importata come merce finita dall’Inghilterra e dalla Francia», non corrispondente per nulla allo sviluppo storico peculiare della società tedesca nel quale, mancando l’edificazione di strutture produttive borghesi moderne, altresí «mancava l’humus dell’economia politica» e dunque anche «ogni continuazione originale dell’economia “borghese”». La conseguenza fu che i principi della scienza economica, non potendo essere in Germania l’espressione teorica di una situazione economica di egemonia borghese, vennero interpretati dai «professori tedeschi» nel limitato «senso del mondo piccolo-borghese che li circondava, quindi malamente interpretati» (34). Ci sembra che questi richiami conclusivi, contenuti nelle stesse pagine in cui Marx esprime il suo più famoso riconoscimento a Hegel, non soltanto diano proprio a quel riconoscimento la giusta e sola dimensione che nel contesto gli compete, ma sciolgano anche l’apparente enigma della coesistenza dei riconoscimenti a Hegel con la mordente e non casuale ironia contro il professore piccolo-borghese dell’Università di Berlino. Avviano a scioglierlo, ormai s’intende, in un quadro ben più complesso di quello proposto dalle interpretazioni schematicamente riduttive per le quali Hegel sarebbe, di volta in volta, o semplicemente il filosofo della restaurazione, o, putacaso, l’espressione più organica di un’ideologia di dominio borghese” (pag 247-249) [Nicolao Merker, ‘Marxismo e storia delle idee’, Editori Riuniti, Roma, 1974] [(33) Cfr. La recensione engelsiana a ‘Per la critica dell’economia politica’ di Marx, in ‘Das Volk’, 6 e 20 agosto 1859, in Marx ‘Per la critica dell’economia politica’, pp. 206-207; (34) Cfr. ‘Il capitale’, pp. 38, 41]