“Che Marx; nell’esercizio concreto della sua attività di teorico e di storico dell’economia politica, nei ‘Grundrisse’ e nel ‘Capitale’, si sia di fatto liberato dell’eredità hegeliana e dagli schemi «dialettici» più di Engels, si può in generale ammettere Bisogna in primo luogo considerare che Engels non era uno specialista di scienze naturali né di etnologia – come lo erano invece Marx ed Engels stesso nell’economia politica – , e che quindi il rapporto tra «idee generali» e ricerca empirica si poneva; nei due casi, in modo diverso. Bisogna anche tener conto di una maggiore tendenza di Engels alla chiarezza didattica, di una sua avversione (nel bene e nel male) a quel sottilizzare e a quel compiacersi di giuochi intellettuali e verbali a cui talvolta si abbandonava Marx, e, quindi, del rischio di cadere nell’eccesso opposto, in una certa semplificazione e «unilateralità». Sulla prima di queste due considerazioni ha insistito lo Schmidt (ma, al solito, traendone conclusioni inaccettabili nel senso di un disinteresse del genuino marxismo per la «natura in sé»); sulla seconda Eric Hobsbawm e Gianni Sofri, i cui giudizi sul rapporto Marx-Engels sono tra i più intelligenti ed equilibrati che io conosca (21).  Tuttavia, quanto alla seconda considerazione, non si deve confondere la differenza di mentalità (che indubbiamente sussiste) con la differenza di «genere letterario». Una cosa è il compendi a scopo essenzialmente espositivo-polemico, un’altra cosa è l’ampia trattazione teorica, un’altra l’opera ancora ‘in fieri’, in cui l’autore dialoga con se stesso e tiene ancora aperte diverse soluzioni. Fra questi tre divirsi tipi di scrittura c’è necessariamente, anche prescindendo dalle tendenze dell’autore, un diverso grado di «problematicità». Quando Marx compendia in poche proposizioni la propria filosofia, come nell’odiata prefazione del 1859, è altrettanto «unilineare» e schematico quanto Engels; anzi, Bernstein si basava proprio su quella prefazione per sostenere il maggior dogmatismo di Marx rispetto ad Engels! (22). Oggi c’è la tendenza a scoprire un Marx più problematico e più moderno – un Marx che addirittura darebbe già tutte le risposte ai problemi della lotta operaia nei paesi neocapitalistici – basandosi appunto sugli inediti , e innalzando per esempio i ‘Grundrisse’ al di sopra del ‘Capitale’, come fa Martin Nicolaus nell’articolo riprodotto nel ‘Manifesto’ (n.1, giugno 1969). «È una tendenza che porta a forzare il pensiero di Marx e, insieme, ad accrescere artificiosamente il divario tra il «problematico» Marx e il «dogmatico» Engels. Quanto alla prima considerazione, bisogna tener conto che la medaglia ha il suo rovescio. Se è vero che il non essere lui stesso naturalista mise Engels in condizioni di svantaggio rispetto a quelle in cui si trovava Marx nelle scienze sociali, è anche vero che il più stretto contatto con le scienze della natura gli permise di scorgere con più chiarezza (anche se saltuariamente) i limiti di quel concetto di progresso che il materialismo storico aveva ereditato da Hegel e da tutta la tradizione precedente. Già negli appunti della ‘Dialettica della natura’ sul darwinismo Engels sottolinea che l’evoluzione delle specie non può essere considerata incondizionatamente come «progresso»: « i sopravviventi sono più adatti a queste ‘circostanze’, ma tale adattamento da un punto di vista complessivo può rappresentare tanto un progresso quanto un regresso (per es. adattamento alla vita parassitaria, ‘sempre regresso’). … Ogni progresso nell’evoluzione organica è nello stesso tempo un regresso, in quanto esso fissa un’evoluzione ‘unilaterale’, preclude la possibilità di evoluzione in molte altre direzioni» (Dial. nat., 315). Anche per ciò che riguarda il corso della storia umana, se da un lato Engels afferma con forza, contro ogni moralismo recriminatorio, la necessità storica di violenze e sopraffazioni («senza l’antica schiavitù non ci sarebbe il moderno socialismo»), dall’altro mette in rilievo con non minore forza i terribili «regressi» che ogni progresso ha implicato: basti ricordare la conclusione del capitolo terzo dell’ ‘Origine della famiglia’ e la drammatica tensione della ‘Guerra dei contadini'” (pag 79-81) [note (21) Cfr. Hobsbawm, prefaz. a Marx, ‘Forme economiche precapitalistiche’, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 51 sg; G. Sofri, ‘Il modo di produzione asiatico, Torino, Einaudi, 1969, pp. 62-64; (22) Cfr. E. Bernstein, ‘I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia’, a cura di Colletti, Bari, Laterza, 1968, p. 31 segg.] [Sebastiano Timpanaro, Sul materialismo, Nistri Lischi, Pisa, 1970]