“Negli Stati Uniti, la guerra imperialista mossa contro la Spagna nel 1898 suscita l’opposizione anti-imperialista degli «ultimi Moicani», delle borghesia democratica, i quali dichiarano criminale questa guerra, denunziano che la costituzione è stata violata con l’annessione di territori stranieri, denunziano la «slealtà degli sciovinisti» che hanno ingannato il capo degli insorti indigeni delle Filippine, Aguinaldo (al quale gli Americani dapprima promisero l’indipendenza del suo paese; ma in seguito sbarcarono le truppe e si annetterono le Filippine), citano queste parole di Lincoln: «Quando un bianco si governa da sé, esiste un auto-governo; quando si governa da sé, ma governa anche gli altri, non esiste più auto-governo, ma dispotismo» (1). Tutta questa critica temeva di riconoscere l’indissolubile legame tra l’imperialismo e i trusts e, quindi, tra l’imperialismo e le fondamenta stesse del capitalismo, temeva di unirsi alle forze causate dal grande capitalismo nel suo sviluppo, si limitava a dei «voti innocenti». È anche l’atteggiamento di Hobson nella sua critica all’imperialismo. Hobson ha preceduto e sorpassato Kautsky insorgendo contro la concezione dell’«ineluttabilità dell’imperialismo» e invocando la necessità di «elevare la capacità di consumo delle popolazioni» (in regime capitalista!). Il punto di vista piccolo-borghese nella critica dell’imperialismo, dell’onnipotenza delle banche, dell’oligarchia finanziaria ecc., è quello degli autori più volte citati: Agadh, Lansburg, L. Eschwege e, tra gli scrittori francesi, Victor Bérard, autore di un libro superficiale: ‘L’Inghilterra e l’imperialismo’, apparso nel 1900. Tutti questi autori, che non pretendono affatto di essere marxisti, oppongono all’imperialismo la libera concorrenza della democrazia, condannano l’avventura della ferrovia di Bagdad, esprimono «voti innocenti» per la pace, in ogni circostanza, persino nelle statistiche delle emissioni internazionali di M. Neymarck, che, avendo calcolato le centinaia di miliardi di franchi rappresentati dai valori «internazionali», esclamava nel 1912: «Possiamo ammettere che la pace sia turbata? Che si rischi, di fronte a cifre enormi, di provocare una guerra?» Tanta ingenuità da parte degli economisti borghesi non ci stupisce. Il loro interesse d’altronde è di apparire tanto ingenui e di parlare seriamente della pace in presenza dell’imperialismo. Ma che resta di marxismo in Kautsky quando, nel 1914-15-16, si pone dallo stesso punto di vista dei riformisti borghesi e afferma «che tutti sono d’accordo» sulla pace? Invece dell’analisi e della rivelazione delle profonde contraddizioni interne dell’imperialismo, non vi scorgiamo che l’«innocente desiderio» del riformista di non vederle, di non parlarne” (pag 154-155) [V.I. Lenin, ‘L’ imperialismo ultima fase del capitalismo’, Fasani, Milano, 1946] [(1) J. Patouillet, ‘L’imperialismo americano’, Digione, 1904, p. 272] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:11 Luglio 2022
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