“[Antonio] Labriola studia dunque qui [la rivolta dolciniana, ndr] una esplosione rivoluzionaria specifica, riferendola a determinate condizioni storiche. La esamina tuttavia anche come caso particolare del «ribellismo cristiano», cui attribuisce (prima di Bloch) caratteristiche «tipiche» da Montano a Dolcino a Münzer. D’altro canto l’incontro della Chiesa e dell’Impero nel III e IV secolo d.C. dà luogo ad un altro caso tipico, quello della funzione semistatale della Chiesa. La Chiesa da allora in poi esercitò «una azione politica o d’accordo con lo Stato o diventando essa lo Stato». Ciò produsse il caso comune ad ogni associazione, la quale «dal momento che ha ‘cose’ da amministrare ed ufficii da adempiere diventa di necessità un governo» (1). Labriola ne conclude che la Chiesa stessa «ha avuto nel suo proprio seno particolari lotte di classe, per es., di patriziati gerarchici e di plebi cenobitiche, di alto e basso clero, di cattolicità e sette» (2). La storia del cristianesimo è storia di associazioni cristiane che si collocano in modo talvolta radicalmente contrapposto nell’ambito di lotte che scaturiscono dalla società civile. Il carattere cristiano è certo un carattere importante di questi comportamenti umani, esso resta però indecifrabile senza riferirsi alle contraddizioni della società civile ed al modo come esse emergono all’interno degli stessi comportamenti cristiani. Al di là del contributo metodologico ad una definizione di storia del cristianesimo (che avrà ampi svolgimenti in terra protestante), Labriola (come Engels) sceglieva come campo di ricerca situazioni diverse da quelle che Weber verrà ponendo al centro della sua attenzione. Per Weber il contributo essenziale del cristianesimo al sorgere della civiltà moderna era indicato nella sua capacità di aprire la strada ad un’etica dell’accumulazione. Per Labriola esso consisteva invece nell’aver saputo dar forma ad una prima etica della liberazione. Engels aveva già mostrato, nel suo scritto ‘Per la storia del cristianesimo primitivo’ (3), come, sul finire degli anni sessanta, l’Apocalisse fosse l’indice di un confuso movimento di massa, il cui atteggiamento di ribellione ha come unica «via di uscita» il terreno religioso. Scrive Engels che in quegli anni, agli uomini asserviti, oppressi ed impoveriti, con interessi estranei, gli uni agli altri, si poteva offrire solo una salvezza, una «via di uscita», che non era di questo mondo. Così come stavano le cose, «poteva essere soltanto una via di uscita religiosa… Il cristianesimo prese sul serio la ricompensa e la punizione nell’aldilà, creò cielo ed inferno e si trovò la via di uscita che conduceva gli afflitti e gli oppressi da questa terrena valle di lacrime nel paradiso eterno. E in realtà soltanto con la prospettiva di una ricompensa nell’aldilà era possibile innalzare la rinuncia al mondo e l’ascetismo stoico-filosofico a principio etico di una nuova religione mondiale che trascinasse le masse popolari oppresse» (4). Labriola studia un altro momento del ribellismo cristiano, i cui caratteri sono profondamente diversi da quelli qui tratteggiati da Engels. Il punto caratterizzante della rivolta di fra Dolcino è infatti che alla espulsione di vasti strati sociali dal possesso dei mezzi di produzione, egli risponde con una rivolta che vuole ristabilire la giustizia anche in questo mondo. Il punto comune è però l’attenzione che sia Engels sia Labriola rivolgono al momento della liberazione” (pag 47-48) [Nicola Badaloni, ‘Sulla dialettica materialistica della «liberazione»’, Critica marxista, Roma, n. 5-6, settembre-dicembre 1976] [(1) A. Labriola, ‘La concezione materialistica della storia’, a cura di E. Garin, Bari, 1965, p. 273; (2) Ibidem; (3) F. Engels, ‘Sulle origini del cristianesimo, trad. it., Roma, 1954. Originariamente pubblicato sulla ‘Neue Zeit’ nel 1895; (4) Ivi, p. 37]