“Lenin illustrò nelle sue grandi linee la sua concezione della tattica dell’Internazionale Comunista, ne modo in cui l’espose in seguito nel suo grande discorso, così luminoso, dopo averla difesa in commissione prima del congresso, dandole una più accentuata piega polemica. «La prima ondata della Rivoluzione si è ritirata. La seconda non si è ancora alzata – dichiarò. – Sarebbe pericoloso farci delle illusioni a questo proposito. Noi non siamo Serse che faceva frustare il mare con le catene. Ma constatare dei fatti e tenerne conto, vorrebbe dire che non si agisce, che si rinuncia? Niente affatto! Imparare, imparare, imparare! Agire, agire, agire! Essere pronti, arcipronti, in modo da poter utilizzare con tutta la nostra energia cosciente la prossima ondata rivoluzionaria. Ecco quello che bisogna fare; comportiamoci senza stancarci dell’agitazione, della propaganda del partito per arrivare alla azione di partito, ma guardiamoci dal credere che quest’azione di partito possa sostituire l’azione di massa. Quanto abbiamo lavorato, noi bolscevichi, tra le masse fino al momento in cui abbiamo potuto dire: ora ci siamo, avanti! Dunque, accostarsi alle masse! Conquistare le masse! È la condizione preliminare per la conquista del potere. In verità, se il congresso adotta questa posizione, voi, avversari dell'”azione di marzo”, potete essere soddisfatti». «E su Paul Lévi qual è il vostro parere? Quello dei vostri amici? Quale sarà l’atteggiamento del congresso al suo riguardo?». Era da parecchio che queste domande mi bruciavano le labbra. «Paul Lévi – rispose Lenin – è un caso speciale. Ora c’è sfortunatamente un’affare Lévi. L’errore è imputabile principalmente a Paul Lévi stesso. Egli si è allontanato da noi, e, nella sua ostinazione, è andato a cacciarsi in un vicolo cieco. Avete dovuto ben convincervene, voi che vi siete tanto agitata nelle delegazioni. Con me non avrete bisogno di agitarvi. Sapete quanto stimi Paul Lévi e quanto apprezzi le sue capacità. L’ho conosciuto in Svizzera e ho riposto delle speranze in lui. È stato messo alla prova all’epoca delle peggiori persecuzioni, si è dimostrato coraggioso, intelligente, capace della più grande dedizione. Credevo che fosse fermamente legato al proletariato, sebbene abbia avut l’impressione di una certa freddezza nei suoi rapporti con gli operai, qualcosa come il desiderio di mantenere le distanze. Ma quando è stato pubblicato il suo opuscolo, ho avuto dei dubbi su di lui. Temo che ci sia in lui un marcato bisogno di originalità, una tendenza all’arrivismo e anche qualche cosa della vanità dei letterati. Era necessario fare una critica spietata all” azione di marzo”. Ma che ha fatto Paul Lévi? S’è gettato sul partito come una bestia feroce e l’ha sbranato. Non solo la sua critica è del tutto esagerata, unilaterale, ed anche cattiva, ma non fornisce alcuna indicazione che consenta al Partito di orientarsi. È assente ogni spirito di solidarietà con il Partito. Ed è questo che ha tanto indignato i compagni di base e li ha resi sordi e ciechi alle numerose cose giuste che si sono nella critica di Paul Lévi e specialmente al mondo molto giusto in cui ha esaminato il problema politico fondamentale. Ed è così che si è creato uno stato d’animo che d’altronde ha conquistato i compagni fuori della Germania; per quelli che sono in questo stato d’animo, l’unico oggetto di discussione è ora l’opuscolo e specialmente la persona di Lévi, e non più il fatto di sapere se la “teoria dell’offensiva” è falsa e se l’applicazione che ne ha fatto la “sinistra” è cattiva. È a Paul Lévi che la “sinistra” deve il fatto di essersela cavata così bene fino ad ora. Paul Lévi è il peggior nemico di se stesso»” (pag 35-38) [Clara Zetkin, ‘Lenin’, Samonà e Savelli, Roma, 1968] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:6 Dicembre 2021