“Lo Stato, dunque, secondo Lenin, è ‘forza’ e, si badi bene, nient’altro che forza (111). Più precisamente esso è l’organizzazione della forza per opprimere le masse lavoratrici. ‘Sic rebus stantibus’, è chiaro che l’unico modo possibile per il proletariato di conquistare lo Stato consiste nel ricorrere all’azione rivoluzionaria: esso deve organizzarsi, come un esercito e rovesciare, tramite la violenza, il dominio di classe della borghesia. Lo abbiamo già visto: secondo il marxismo-leninismo la legge dominante della società moderna – «la legge delle leggi», la definì enfaticamente Trotsky – è la ‘Klassenkampf’, cioè la sorda, spietata, disumana guerra civile che le classi conducono fra loro per conquistare e tenere saldamente in pugno il Potere. Per questo Lenin era fermamente convinto che «i grandi problemi della vita dei popoli vengono risolti ‘esclusivamente’ dalla forza» (112). Cioè: i rapporti sociali sono necessariamente basati sulla forza: se la forza della classe dominante è superiore a quella delle classi subalterne, i gruppo sociali convivono fra di loro più o meno pacificamente, ma se le forze in campo sono in equilibrio, allora lo scontro frontale è inevitabile e il ricorso alla violenza imperativo. In altre parole, il rapporto fra le classi, secondo Lenin, era di tal natura che l’uso della forza, della violenza, al limite del terrore, si ponevano come imperativi politici ineludibili. O schiacciare il nemico di classe, o essere schiacciati: questa la legge spietata della società moderna. Tutto questo non è nuovo. Marx aveva insegnato che la convivenza umana era una cronica guerra civile, che la violenza era la reale protagonista della storia e che le rivoluzioni erano i veicoli sui quali avanzava il progresso umano. Donde la sua insistenza sulla necessità di educare il proletariato all’idea della lotta frontale contro la borghesia, della violenza e della dittatura rivoluzionaria. Lenin, in effetti, non fece che tornare al genuino spirito rivoluzionario del marxismo che i teorici della Seconda Internazionale avevano lentamente obliato (113)” e riaffermò la necessità di preparare il Partito e le masse operaia alla ‘rivoluzione violenta’ e alla ‘dittatura’. L’edificazione del socialismo è letteralmente una guerra che deve essere condotta con gli unici metodi appropriati: una organizzazione militare, una disciplina ferrea, uno spirito aggressivo e implacabile. Tutto questo, naturalmente, viene concepito in funzione dello scontro finale, della lotta frontale fra l’esercito borghese (lo Stato) e l’esercito proletario (il Partito comunista)” [Luciano Pellicani, ‘Il leninismo’, UIPC, Roma, 1970] (pag 57-58-59) [(111) Il limite insuperabile della teoria marxista – leninista dello Stato è che essa riduce lo Stato alla forza ed elimina ogni distinzione fra i vari regimi politici, tutti considerati nella loro essenza dittature di classe. Come ha osservato R. McIver in ‘The Web of Government’, che lo Stato nasca e si sostenga esclusivamente con la forza è una di quelle verità parziali che generano i più grossi errori. È vero che è la forza che permette allo Stato di governare, ma questa forza scaturisce quasi sempre dal ‘consenso’ più o meno spontaneo dei governati senza il quale ogni regime politico sarebbe precario. Per quanto la cosa possa irritare la mentalità radicale, si deve riconoscere che il dominio di una classe su un’altra è spesso dominio consensuale, accettazione dell’ordine costituito – cosa, del resto, che lo stesso Lenin riconosceva quando insisteva sull’importanza della lotta ideologica intesa come attività tendente a strappare alla borghesia il consenso delle classi subalterne; (112) ‘Un passo avanti, due passi indietro’, VII, pp. 417-418; (113) Cfr. S. Hook, ‘Pour comprendre Karl Marx’, Parigi, 1936, p. 50, B. Moore, ‘Il dilemma del potere’, Milano, 1953, p. 104, J. Monnerot, ‘Sociologie du communisme’, cit., p. 50, H. Arvon, ‘Le marxisme’, Parigi, 1960, p. 177] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]