“Nonostante l’insuccesso finale, il tentativo dell’anno II assunse a valore d’esempio. Gli uomini del Novantatré specialmente i robespierristi, tentarono di superare la contraddizione di fondo tra le esigenze dell’eguaglianza dei diritti proclamata come principio e le conseguenze della libertà economica, al fine di attuare nel quadro di una repubblica democratica e sociale l’«eguaglianza dei frutti». Tentativo grandioso, drammatico per la sua stessa impotenza, e che permette di misurare l’antagonismo irreducibile che può correre tra le aspirazioni di un gruppo sociale e lo stato oggettivo delle necessità storiche. Come è infatti possibile affermare il carattere imprescrittibile del diritto di proprietà e quindi di riconoscere le esigenze degli interessi privati e la libera ricerca del profitto, e contemporaneamente voler annullare per certuni le conseguenze di quei diritti per costruire una società egualitaria? «Tempo di anticipazioni», come Ernest Labrousse a definito «questa rivoluzione convenzionale»? Certamente. Il tentativo dell’anno II ha alimentato il pensiero sociale del secolo XIX, il suo ricordo ha fortemente pesato sulle lotte politiche. I tentativi montagnardi hanno lentamente preso contorni precisi, innanzitutto quell’istruzione pubblica accessibile a tutti vanamente richiesta dai sanculotti come una delle condizioni necessarie alla democrazia sociale. Ma nello stesso tempo, accrescendosi le distanze sociali per effetto della libertà economica e della concentrazione capitalistica e rafforzandosi gli antagonismi, l’«eguaglianza dei frutti» si allontanava sempre più. Inchiodati alla loro condizione, artigiani e bottegai, discendenti dei sanculotti del Novantatré, sempre attaccati alla piccola proprietà fondata sul lavoro individuale, oscillarono tra l’utopia e la rivolta. La stessa contraddizione e la stessa impotenza pesarono sempre sui tentativi di democrazia sociale: l’attesta la tragedia del giugno 1848. L’anno II («Non debbono esserci né ricchi né poveri», secondo Saint-Just nel Quarto frammento delle ‘Institutions républicaines’: quello stesso Saint-Just che nota però nella sua agenda: «Non ammettere la spartizione delle proprietà»), il chimerico anno II, non apparterà al tempo delle utopie? … La repubblica egualitaria rimase nel regno delle anticipazioni, Icaria mai raggiunta ma sempre cercata. Già al tempo della Rivoluzione, però, Babeuf aveva rilevato la contraddizione, presentando la «comunità dei beni e dei lavori» come il solo mezzo capace di instaurare l’«eguaglianza dei frutti» e di realizzare la «felicità comune»: l’abolizione della proprietà privata e la collettivizzazione dei mezzi di produzione apparvero al Tribuno del popolo, seppur confusamente, come le condizioni necessarie di una democrazia sociale effettiva. L’ideologia babuvista rappresentò un mutamento rispetto a quella dell’anno II: primo abbozzo dell’ideologia rivoluzionaria della nuova società nata dalla Rivoluzione stessa. Buonarroti la trasmise alla generazione del 1830: essa si colloca all’origine del pensiero e dell’azione socialista. Dalla Rivoluzione francese nascevano così idee che portavano, secondo le parole di Marx, «al di là delle idee del vecchio stato di cose»: quelle di un ordine sociale nuovo che non fosse l’ordine borghese” (pag 623-624) [Albert Soboul, La rivoluzione francese. Volume secondo’, Editori Laterza, Bari, 1966]