“‘Psicologia di massa del fascismo’ prese forma nella mente di Reich tra il 1930 e il 1933, cioè durante gli anni della crisi socio-economica tedesca destinata a sfociare nell’avvento di Hitler al potere. Scritto interamente di getto nei primi mesi del 1933, fu pubblicato, com’era ormai di consueto per Reich, nella collana «Unter der Banner des Marxismus» nell’agosto del 1933, a Copenhagen”. Sul piano contingente, l’opera trasse origine da una realistica «presa di coscienza» del fatto che proprio la grande crisi capitalistica del ’29-’32, che in base alle teorie marxiste avrebbe dovuto rafforzare i partiti di sinistra ed esaltare lo spirito rivoluzionario delle masse, si era risolta in un’avanzata massiccia della destra, e soprattutto della destra più estrema e fanatica: il nazismo. Ma da quella constatazione amara, che si riassume nella frase di apertura del libro («La classe lavoratrice tedesca ha subito una grave disfatta»), prese le mosse un’analisi di immenso significato socio-politico. «Da un punto di vista razionale – esordisce Reich alludendo alla tremenda crisi del ’29-’32 – sarebbe stato logico aspettarsi che le masse impoverite dei lavoratori tedeschi sviluppassero un’acuta coscienza della loro situazione sociale e una salda volontà di eliminare le loro sofferenze. Si poteva aspettarsi che ogni singolo lavoratore, insomma, si ribellasse contro la sua miseria e che dicesse a se stesso: “Sono un lavoratore responsabile, dipende da me e dalla gente come me la felicità o la sventura della società in cui vivo. Mi assumo, quindi, la responsabilità della produzione”. In questo caso il pensiero (ossia la “coscienza di classe”) del lavoratore sarebbe stato coerente con la sua situazione sociale… Ma poiché esisteva una divergenza fra la condizione sociale delle masse dei lavoratori e la loro consapevolezza di tale condizione, ne è risultato che le masse, invece di migliorare la loro situazione, l’hanno peggiorata. Sono state infatti proprio le masse impoverite dei lavoratori che hanno portato al potere il fascismo, il più estremo esponente della reazione politica» (1). Il nocciolo della questione – concludeva Reich – sta nel ruolo dell’ideologia, ossia dell’atteggiamento emozionale delle masse come fattore storico (il famoso «fattore individuale delle storia» di cui parla Marx) e nella «reazione che la ideologia può sviluppare nei confronti della base economica». Se la miseria economica di larghe masse dei lavoratori non ha indirizzato le tendenze rivoluzionarie verso una rivoluzione politica, se, al contrario, la crisi economica ha indotto le masse ad accettare ideologie opposte a quelle marxiste, ciò è dipeso dal fatto che lo sviluppo ideologico delle masse in quegli anni critici ha impedito, per dirla in termini marxisti, «lo schieramento delle forze di produzione» contro il capitalismo e bloccato «la soluzione rivoluzionaria del conflitto fra forze produttive e capitalismo monopolistico con i suoi metodi di produzione». «Il problema fondamentale quindi è il seguente: che cosa provoca questa divergenza fra situazione economica e struttura psicologica delle masse?» (2)” (pag 226-227) [Luigi De Marchi, ‘Vita e opere di Wilhelm Reich. Volume primo. Il periodo freudiano-marxista (1919-1938)’, Sugarco edizioni, Milano, 1981] [Note: (1) MPF (Massenpsychologie des Faschismus), p. 7; (2) Op. cit., p. 10]