“In ogni caso, indipendentemente da quello che pensa «la maggior parte degli scienziati sociali», nell’opera di Marx l’alienazione è connessa alla struttura della società e non all’esperienza personale dell’operaio. E’ proprio la natura del lavoro salariato, il rapporto fondamentale della società capitalista, che fornisce la spiegazione della alienazione: «Nel ‘lavoro industriale’ c’è: 1) l’estraneità e la casualità del lavoro rispetto al soggetto che lavora; 2) l’estraneità e la casualità del lavoro rispetto all’oggetto stesso del lavoro; 3) la determinazione del lavoratore da parte dei bisogni sociali, che sono un obbligo estraneo a lui, a cui egli si assoggetta per bisogno individuale, che significano quindi per lui solo una fonte di soddisfacimento delle sue necessità, sino al punto che egli diventa uno schiavo dei bisogni esistenti; 4) che al lavoratore la conservazione della sua individuale esistenza appare come ‘scopo’ della sua attività e la sua reale attività gli appare come semplice ‘mezzo’; che egli insomma ‘vive’ solo per guadagnare da vivere» (21). In effetti, Marx ha esplicitamente collocato l’alienazione alla radice stessa della società capitalista: «E’ dunque tutta una cosa: se l”uomo’ è estraniato a se stesso, la ‘società’ di questo uomo estraniato è la caricatura della sua ‘reale comunità’, della sua vita generica; e dunque la sua attività appare a lui come tormento, la sua propria creazione come potenza estranea, la sua ricchezza come miseria; il ‘vincolo sostanziale’ (Wesenband) che lo lega all’altro uomo appare a lui come un vincolo casuale (unwesentliches Band) e invece la separazione dall’altro come la sua vera esistenza». E Marx aggiunge che questa società capitalista, questa caricatura della società umana, è la sola forma di società che gli economisti borghesi sono in grado di immaginare: «La ‘società’ – dice Adam Smith – è una ‘società commerciale’. Ciascuno dei suoi membri è un commerciante. Si vede qui come l’economia ‘fissa’ la ‘forma estraniata’ delle relazioni sociali come la forma ‘naturale’ (wesentliche) e ‘originaria’ e corrispondente alla destinazione umana» (22). Nei ‘Manoscritti economico-filosofici del 1844′, Marx applica il concetto feuerbachiano della alienazione religiosa alla alienazione dell’uomo nel prodotto del suo lavoro. Il passo seguente giunge assai vicino alla descrizione del mondo delle merci nei termini di un mondo dominato da feticci che regolano e dominano la vita umana: «…quanto più l’operaio lavora tanto più acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, ch’egli si crea di fronte, e tanto più povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede. Come nella religione. Più l’uomo mette in Dio e meno serba in se stesso. L’operaio mette nell’oggetto la sua vita, e questa non appartiene più a lui, bensì all’oggetto. Più è grande questa sua facoltà e più l’operaio diventa senza oggetto… L”espropriazione’ dell’operaio nel suo prodotto non ha solo il significato che il suo lavoro diventa un oggetto, un”esterna’ esistenza, bensì che esso esiste ‘fuori di lui’, indipendente, estraneo a lui, come una potenza indipendente di fronte a lui, e che la vita, da lui data all’oggetto, lo confronta estranea e nemica» (23)” [Fredy Perlman, ‘Il feticismo delle merci. Saggio su Marx e la critica della economia politica’, Milano, 1972] [(21) Marx, ‘Note di lettura 1844-1845’, in K. Marx, ‘Scritti inediti di Economia Politica’, a cura di M. Tronti, Roma, 1963, p. 19; (22) Ibid., pp. 14-15; (23) Marx, ‘Manoscritti economico-filosofici del 1844’ in K. Marx, ‘Opere filosofiche giovanili’, trad. it. di G. Della Volpe, Editori Riunit, Roma, 1969, p. 195]