“Sulla necessità del superamento finale, attraverso la crisi, del modo di produzione capitalistico, Kautsky per lungo tempo ha tenuto fede alle proprie posizioni senza apprezzabili modifiche, perlomeno fino all’epoca del secondo scritto che presentiamo in questo volume, dove ricompaiono tutti gli elementi caratteristici della sua concezione. Solo successivamente alle vicende della prima guerra mondiale, alle numerose fratture in seno al movimento operaio tedesco e internazionale e alla sua definitiva emarginazione dalla vita politica e dallo stesso dibattito teorico, Kautsky accederà alle posizioni che tanto aveva combattuto: ad esempio, nella sua opera del 1927, ‘Die materialische Geschichtsauffassung’, giungerà a sostenere che l’idea di un’acutizzazione progressiva delle crisi e dei contrasti di classe, in direzione di uno sbocco necessario nel socialismo, è ormai superata. Nell’epoca invece che vede Kautsky nel pieno della sua attività e della sua influenza, lo schema teorico rimane sostanzialmente inalterato. Unica variazione: il ripudio della teoria del crollo, per aggirare le obiezioni di Bernstein e dei revisionisti. In realtà Kautsky aveva calcato la mano sulla necessità «naturale» del crollo all’epoca in cui scriveva il suo commento al Programma di Erfurt, che rimane uno dei documenti più significativi del cosiddetto «marxismo della Seconda Internazionale». Scriveva allora Kautsky (siamo nel 1891): «Noi riteniamo inevitabile il crollo (‘Zusammenbruch’) dell’attuale società perché sappiamo che lo sviluppo economico produce ‘con necessità naturale’ delle condizioni che costringono gli sfruttatori a lottare contro questa proprietà privata…». E ancora: «… l’inarrestabile sviluppo economico porta alla bancarotta del modo di produzione capitalistico ‘con necessità di legge naturale’» (43). Eppure, nel vivo della polemica con Bernstein, Kautsky nega di avere mai formulato una teoria del crollo automatico del modo di produzione capitalistico, e tanto meno essa poteva essere fatta risalire a Marx ed Engels. Del resto, non solo nell”Antibernstein’ del 1899 (44) ma anche nel commento al Programma di Erfurt si sforza di precisare che il passaggio dalla crisi del sistema al socialismo non è automatico. L’aggravarsi delle crisi porteranno «a condizioni insopportabili per la gran massa della popolazione, lasciando ad essa solo la scelta tra abbrutimento inerte o rovesciamento attivo dell’esistente ordine proprietario» (45). Sono parole che troviamo ripetute, quasi alla lettera, nell”Antibernstein’ del 1899 e nei due scritti che qui presentiamo. In sostanza l’idea di un crollo automatico è evitata con la previsione di uno stato di depressione cronica, nel quale «evidentemente … la produzione capitalistica può continuare a funzionare, ma diverrà completamente insopportabile per la gran massa della popolazione che si vedrà costretta a ricercare una via d’uscita da questa miseria generale e potrà trovarla solo nel socialismo». Dunque, l’andamento delle crisi ha come sbocco una situazione senza via d’uscita, nella quale l’alternativa è «socialismo o barbarie». La presenza e la crescita, dentro questo processo di decadenza fatale, di un soggetto collettivo cosciente e organizzato, capace di individuare attraverso la conoscenza scientifica dei processi in atto il «momento giusto», è in grado di garantire il passaggio al socialismo scongiurando nel medesimo tempo ogni forzatura intempestiva delle condizioni reali” [dall’introduzione di Gianni Celata e Bruno Liverani al volume di Karl Kautsky, ‘Teorie delle crisi’, Firenze, 1976] [(43) K. Kautsky, ‘Il programma di Erfurt’, Roma, 1971, pp. 104, 123; (44) K. Kautsky, ‘Bernstein und das sozialdemokratische Programm. Eine Antikritik’, Stuttgart, 1899, pp. 135-150; (45)  K. Kautsky, ‘Il programma di Erfurt’, cit, p. 104]