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“In proposito, teoricamente aveva ragione Engels, che fino all’ultimo giorno della sua vita sottolineò (in polemica dapprima coi lassalliani, poi con molti fra gli stessi dirigenti socialdemocratici che si dicevano oramai marxisti, ma fra i quali erano dei rivoluzionari quasi solo Bebel e forse più ancora Wilhelm Liebknecht, il più lontano, sul piano personale, da Engels, ma che aveva in comune con lui il passato e la passione di combattente del 1848-49) che la Germania aveva bisogno di un’autentica rivoluzione politica democratica. Bebel stesso fece però presente ad Engels che quando ci fosse stata una rivoluzione in Germania, essa sarebbe stata operaia e socialista e non democratica-borghese, per l’ormai profondamente radicato anti-rivoluzionarismo della borghesia tedesca. Per conto nostro, condividendo le considerazioni di Lassalle e di Bebel sulla natura anti-rivoluzionaria della borghesia tedesca, non abbiamo bisogno di condividere il tono di requisitoria politico-morale ch’essi usavano nella foga della polemica. Anche la classe operaia tedesca s’è rivelata molto meno rivoluzionaria di come i grandi socialisti tedeschi avevano sperato. Per cominciare, la rendeva meno rivoluzionaria proprio quanto ne faceva la forza: la sua efficienza professionale, la sua disciplina. Ottimo soldato qual è in un esercito regolare, il tedesco medio dell’età contemporanea ha troppo rispetto per il mestiere delle armi, per aver fiducia nelle insurrezioni popolari. Un lungo processo storico ha portato i tedeschi ad essere quali sono stati nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento. Una rivoluzione la Germania l’aveva già avuta con la Riforma” [Leo Valiani, La storiografia della socialdemocrazia tedesca (1863-1914), 1958]