“In un saggio del 1932 su «Il concetto di “politico”», commentando la celebre definizione di Clausewitz, secondo cui «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi» (1), Carl Schmitt annotava: «La guerra non è scopo o meta o anche solo contenuto della politica, ma ne è il ‘presupposto’, sempre presente come possibilità reale»; non si tratta, perciò, di intendere la guerra come semplice «strumento», fra i molti, della politica, ma come sua «essenza»: «solo nella lotta reale» – proseguiva Schmitt – «si manifesta la conseguenza estrema del raggruppamento politico di amico e nemico. E’ da questa possibilità estrema che la vita dell’uomo acquista la sua tensione specificamente politica» (2). Esattamente trent’anni più tardi, in uno scritto appositamente presentato come «Note complementari al concetto di “politico”», ancora Schmitt ritornava sul rapporto fra politica e guerra, insistendo sul carattere «originario» dell’inimicizia da cui scaturisce la guerra: la stessa distinzione fra diversi tipi di guerra – quella che si combatte fra Stati, quella che ha come protagonista il partigiano e quella dell’epoca nucleare – viene dopo quella fra diversi tipi di inimicizia; la guerra, dunque, non sospende né contraddice, ma continua la politica perché, come questa, anch’essa non fa che esprimere, «con altri mezzi», il rapporto originario amico-nemico (3). Non si comprenderebbe fino in fondo l’importanza della «sfida» teoretica implicita nella tesi schmittiana, né la radicalità con cui essa interpella le posizioni del Movimento operaio sul rapporto guerra-politica, ove non si tenesse presente il ruolo tutt’altro che marginale assunto da tale problema nella riflessione del marxismo dell’azione rivoluzionaria. Prima ancora di Schmitt, a Clausewitz si richiama ripetutamente Lenin dai primi anni del Novecento fin dentro la rivoluzione del 1917, non soltanto riprendendo la formula della guerra come prosecuzione della politica (4), ma anche riconoscendo alla guerra una funzione analoga a quella che Marx ed Engels avevano attribuito alla crisi economica. Analogamente, l’attività di teorico e di dirigente rivoluzionario svolta da Mao Tze-Tung durante gli anni trenta e quaranta e soprattutto nel periodo della «Lunga Marcia», è principalmente ispirata alla famosa immagine dell’Armata Rossa e della popolazione armata come le due braccia dello stesso uomo; più in generale, gran parte del lessico politico e delle categorie interpretative a cui Mao fa riferimento in questo periodo (differenza fra tattica e strategia, battaglie decisive, appello alle forze morali, etc.) sono desunte da una ripresa delle tesi di Sun Tzu, rilette alla luce di eventi bellici cruciali (5). Quanto ai «padri» del socialismo scientifico, basterebbe ricordare l’identità posta da Marx in un famoso articolo del 1° gennaio 1849, a commento delle sconfitte patite dagli operai francesi nel giugno precedente, fra «insurrezione rivoluzionaria della classe operaia» e «guerra mondiale» (6) , e più ancora all’importanza attribuita da Marx ed Engels alla guerra e alla storia militare come fonti per la comprensione della formazione economico-sociale capitalista (7). Per restare nell’ambito della riflessione marxista, ancora più significative sono le affermazioni di Gramsci sul rapporto fra guerra e politica: a parte l’uso ricorrente di metafore belliche (guerra di posizione, guerra di movimento, casematte, etc.) per designare fasi diverse della manovra politica (8), o l’importanza riconosciuta alle questioni militari per l’interpretazione del processo di costituzione storica dello Stato moderno (9), può apparire perfino sorprendente notare come Gramsci riproduca letteralmente; pur senza citarne la fonte, la sentenza di Clausewitz (10), e concluda poi sostenendo che, anche se «la lotta politica è enormemente più complessa della guerra», «ogni lotta politica ha sempre un sostrato militare» (11) [pag 7-8, ‘Introduzione’ di Umberto Curi al volume: ‘Della guerra’, Venezia, 1982, a cura di Umberto Curi] [note: (1) «La guerra è forse altra cosa che una specie di scrittura o di linguaggio nuovo per esprimere il pensiero politico? Questa lingua ha senza dubbio la propria grammatica, ma non una logica propria» (K. von Clausewitz, ‘Della guerra’, tr. it., Milano, 1970, p. 811); (2) C. Schmitt, ‘Il concetto di «politico», tr. it., a cura di G. Miglio e P.A. Schiera, in ‘Le categorie del «politico»’. Saggi di teoria politica, Bologna, 1972, p. 117; (3) C. Schmitt, ‘Teoria del partigiano’, tr. it., Milano 1981, pp. 71-73. Sul «problema» che la riflessione schmittiana costituisce nel suo insieme, anche come «provocazione» alla traduzione culturale del movimento operaio i contributi italiani più stimolanti e aggiornati si trovano Istituto Gramsci Veneto, ‘La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt’, a cura di G. Duso, Venezia, 1981; (4) «Tutti sanno che le guerre scaturiscono soltanto dai rapporti politici fra i governi e fra i popoli, ma abitualmente le cose vengono presentate in modo da far credere che, all’inizio della guerra, questi rapporti cessino e sorga una situazione assolutamente diversa, sottoposta soltanto a leggi sue proprie. Noi, al contrario, affermiamo che la guerra non è altro che la continuazione dei rapporti politici con l’intervento di altri mezzi» (V.I. Lenin, ‘Il fallimento della II Internazionale’ (maggio-giugno 1915), tr. it. in Id, ‘La guerra imperialista’, Roma, 1972, p. 70). Questo modo di intendere il rapporto fra politica e guerra è altresì implicito in ciò che lo stesso Lenin sostiene a proposito della rivoluzione violenta come mezzo esclusivo «per la sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese»; riprendendo l’elogio che Engels aveva formulato della violenza come «levatrice di ogni vecchia società», e richiamandosi alla conclusione della ‘Miseria della filosofia’, Lenin infatti afferma che «lo Stato borghese non può essere sostituito dallo Stato proletario per via di “estinzione”; può esserlo unicamente, come regola generale, per mezzo della rivoluzione violenta» (V.I. Lenin, ‘Stato e rivoluzione’, tr. it., Milano, 1968, p. 66); (5) Su questi temi, e in particolare sul rapporto Lenin-Mao relativamente all’analisi del significato politico della guerra, si vedano soprattutto i lavori di K. Mehnert, ‘Peking and Moskau’, Stoccarda, 1962 e R. Fisher, ‘Von Lenin zu Mao. Kommunismus in der Bandung-Area’, Düsseldorf e Colonia 1956: entrambi citati da C. Schmitt, ‘Teoria del partigiano’, cit.; (6) K. Marx, Il movimento rivoluzionario, tr. it., in Marx-Engels, ‘Il Quarantotto’. La «Neue Rheinische Zeitung», Firenze 1970, pp. 179-181; (7) L’insistenza con cui, lungo tutto l’arco della produzione matura di Marx ed Engels, è presente il tema della guerra, richiederebbe un’analisi specifica e ben altrimenti approfondita. Solo per ricordare alcuni fra i luoghi più significativi, anche per la connessione fra la tematica «militare» e l’enucleazione delle linee fondamentali della critica dell’economia politica, andrebbero esaminati con attenzione i contributi redatti nel biennio 1856-’57 per la «New American Cyclopaedia», per la quale Marx e soprattutto Engels redigono numerose voci, in particolare «militaria», e gli articoli inviati alla «New York Daily Tribune», sulla quale Marx è invitato a scrivere unicamente su «Indian War and financial crisis». Commentando questa attività – coeva al lavoro «notturno» di stesura dei ‘Grundrisse’ – Marx scriveva all’amico: «La storia dell”Army’ mette in luce con maggiore evidenza di qualsiasi altra cosa l’esattezza della nostra concezione del rapporto esistente fra le forze produttive e le condizioni sociali…Tutta la storia delle forme della società civile vi si trova riassunta in modo evidente» (K. Marx, ‘Lettera ad Engels del 25 settembre 1857, tr. it., ‘Carteggio Marx-Engels’, III, Roma 1953, p. 94. Ad un tema pressoché identico è inoltre dedicato il quarto paragrafo della celebre ‘Einleitung’ (se ne veda la tr. it. in ‘Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica’, a cu
ra di E. Grillo, I, Firenze, 1968, pp. 35-40; per una più ampia analisi di questa fase cruciale della ricerca marxiana, cfr. U. Curi, ‘Sulla «scientificità» del marxismo’, Milano 1979). Per quanto riguarda infine il rapporto tra attività politica e guerra, ancora Marx ricordava, commentando la guerra di secessione americana e polemizzando con le interpretazioni puramente «tecniche» o ideologiche fornite dai principali giornali britannici, che «l’attuale lotta fra il Sud e il Nord è dunque essenzialmente un conflitto fra due sistemi sociali, fra il sistema della schiavitù e il sistema del lavoro libero. La guerra è scoppiata perché i due sistemi non possono coesistere più a lungo pacificamente sul continente nordamericano» (K. Marx, ‘La guerra civile negli Stati Uniti’, tr. it., a cura di R. Rinaldi, Milano, 1973, pp. 74-75; (8) Cfr., ad esempio, il Quaderno XVI in A. Gramsci, ‘Quaderni dal carcere’, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975; (9) A. Gramsci, ‘Quaderni’, cit, Q.X.; (10) «Anche la guerra in atto è ‘passione’, la più intensa e febbrile, è un momento della vita politica, è ‘la continuazione, in altre forme, di una determinata politica» (A. Gramsci, ‘Quaderni’, cit., Q. XXX, corsivi miei); (11) A. Gramsci, ‘Quaderni’, cit., Q. XVI] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]