“Certo è che studiando fisiologia comparata si arriva a uno sdegnoso disprezzo per la concezione idealistica che pone l’uomo al di sopra degli animali. Ad ogni passo si batte il naso nella più completa concordanza di struttura con gli altri mammiferi; nei tratti fondamentali la concordanza si estende a tutti gli altri vertebrati e perfino – più confusamente – agli insetti, ai crostacei, alle tenie, ecc. La idea di Hegel del salto qualitativo nella serie quantitativa anche qui va benissimo” [F. Engels a K. Marx, 14 giugno 1858, in Marx-Engels, ‘Opere complete’, v. XL, Roma, 1973, p. 352] (pag 149); “Per il singolo animale il luogo dove è nato, l’ambiente di vita che trova, il numero e la qualità dei nemici che lo minacciano sono dovuti al caso. Per la pianta madre è dovuta al caso la direzione in cui il vento trasporta i suoi semi, per la pianta figlia il luogo in cui il seme trova terreno per il germoglio dal quale essa deriva; e l’assicurazione che anche in questo caso tutto è basato su ferrea necessità è una magra consolazione. Il groviglio di oggetti della natura su un determinato territorio, anzi, di più, sull’intera terra, rimane, con ogni predeterminazione a partire dall’eternità, quello che era: casuale. Hegel scese in campo contro entrambe le concezioni con i principi, fino ad allora mai uditi, che il casuale ha una causa, perché è casuale, proprio tanto quanto non ha causa alcuna, perché è casuale; che il casuale è necessario, che la necessità determina se stessa come casualità, e che d’altra parte questa casualità è piuttosto assoluta necessità (‘Logica’ II, libro III, 2; la realtà). La scienza naturale ha semplicemente lasciato da un canto questi principi come paradossali giochi di parole, come contraddittori assurdi e ha perseverato teoricamente, da un lato, nella vuotezza di pensiero della metafisica wolffiana, per la quale qualcosa o è necessario o è casuale, ma non entrambe le cose nello stesso tempo; o, d’altra parte, nel determinismo meccanico appena un po’ meno vuoto di pensiero, che nega, in generale, a parole, il caso, per riconoscerlo nella pratica in ogni singolo avvenimento. Mentre la ricerca scientifica continuava a pensare così, che cosa ‘faceva’ nella persona di Darwin? Darwin, nella sua opera di importanza storica, prende le mosse dalla più larga base esistente della casualità. Sono proprio le infinite, casuali particolarità degli individui all’interno delle singole specie, particolarità che si accentuano fino alla rottura del carattere della specie, le cui origini prossime stesse sono dimostrabili solo nel minor numero dei casi, che lo costringono a mettere in discussione il fondamento sul quale era fino allora basata ogni regolarità in biologia, il concetto di specie nella forma metafisica, rigida e inalterabile, che aveva fino ad allora avuto. Ma senza il concetto di specie tutta la scienza si riduceva a nulla. Tutti i suoi rami avevano per necessario fondamento il concetto di specie: l’anatomia umana e quella comparata – l’embriologia, la zoologia, la paleontologia, la botanica ecc. che cosa erano senza il concetto di specie? Tutti i loro risultati non erano soltanto posti in discussione, ma direttamente annullati. La casualità capovolge il concetto che fino ad allora si aveva della necessità (il materiale di circostanze casuali che si era andato frattanto accumulando ha sfiancato e spezzato la vecchia idea di necessità). L’idea che fino a allora si aveva di necessità non si reggi più. Serbarla significa imporre dittatorialmente alla natura come legge un’arbitraria determinazione dell’uomo, in contraddizione con se stessa e con la realtà; significa negare con ciò ogni necessità interna nella natura vivente, in generale, nel caotico regno del caso [Friedrich Engels, ‘Dialettica della natura’, in Marx-Engels, Opere complete, v. XXV, cit., pp. 504-505] (pag 151-152); “Una ‘storia critica della tecnologia’ dimostrerebbe, in generale, quanto piccola sia la parte d’un singolo individuo in una invenzione qualsiasi del secolo XVIII. Finora tale opera non esiste. Il Darwin ha diretto l’interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi vegetali e animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita uguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell’uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare? E non sarebbe più facile da fare, poiché, come dice il Vico, la storia dell’umanità si distingue dalla storia naturale per il fatto che noi abbiamo fatto l’una e non abbiamo fatto l’altra? La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita, e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali e delle idee dell’intelletto che ne scaturiscono. Neppure una storia delle religioni, in qualsiasi modo eseguita, che faccia astrazione da questa base materiale, è critica. Di fatto è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose che, viceversa, ‘dedurre’ dai rapporti reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico. I difetti del materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali, che esclude il ‘processo storico’, si vedono già nelle concezioni astratte e ideologiche dei suoi portavoce appena si arrischiano al di là della loro specialità” [Karl Marx, ‘Il Capitale’, Roma, 1974, Libro I, pp. 384-385 e 414-415 nota] (pag 154-155) [(in) ‘L’evoluzionismo’ a cura di Bernardino Fantini, Roma, 1976]