“Bucharin, ingegno vivacissimo e di vasta cultura, è tra quei teorici marxisti che si muovono del tutto a loro agio nel campo delle costruzioni più astratte della scienza, ma che forse proprio per questo sono portati ad abusare del metodo dell’astrazione scientifica: l’abuso consiste nel cedere alla tentazione di ricondurre ad armoniche combinazioni i dati ricavati dall’indagine scientifica. Non essendo un semplice ripetitore di Marx, Bucharin cerca di appropriarsene tanto i risultati quanto il metodo, per affrontare in modo autonomo i nuovi problemi del nostro tempo. Citando la marxiana ‘Einleitung’ del 1857 (11), egli scrive che «occorre estrapolare  [più semplicemente potrebbe dirsi: isolare] ciò che di particolare ‘distingue’ il nostro tempo e analizzarlo. Questo è stato il metodo di Marx e questo è il modo in cui un marxista deve affrontare il problema dell’imperialismo». Questo tuttavia è solo un momento, sia pure fondamentale, del metodo di Marx; l’altro momento, non meno essenziale (ma che Bucharin trascura), è quello che permette poi di risolvere gli elementi specifici, isolati dell’indagine, nell’intreccio del concreto, dove essi naturalmente non si trovano mai allo stato puro, giacché «il concreto è concreto perché  è sintesi di molte determinazioni ed unità, quindi, del molteplice» (13). Vediamo come si riflette questa insufficienza metodologica di Bucharin nell’analisi dell’imperialismo, che pure per molti aspetti è assai penetrante e racchiude conclusioni del tutto valide. Caratteristica fondamentale dell’imperialismo – sia nell’analisi di Bucharin che in quella di Lenin – è la trasformazione della concorrenza in monopolio, il passaggio del capitalismo alla sua fase monopolistica. D’altra parte sia Lenin che Bucharin sanno bene che la concorrenza non è un semplice ‘incidente’ del capitalismo, una sua manifestazione contingente, ma qualcosa che attiene ‘alla sua struttura essenziale’. Un capitalismo senza concorrenza, senza la molla della libera iniziativa, non sarebbe più capitalismo, ma un sistema che è riuscito a sfuggire alle contraddizioni attraverso cui si impongono le leggi materiali, ‘oggettive’, del modo di produzione capitalistico. A niente di simile pensava Bucharin, che è invece su questo punto assai preciso: «Le contraddizioni fondamentali del capitalismo, che con il suo sviluppo vengono continuamente riprodotte ad un livello più allargato, trovano nella nostra epoca una loro espressione particolarmente netta. Proprio così stanno le cose per quanto concerne la struttura anarchica del capitalismo che si manifesta nella concorrenza. Il carattere anarchico della società capitalistica si fonda sul fatto che l’economia sociale non è un collettivo organizzato e diretto da un’unica volontà, ma è un sistema di economie collegate l’una con l’altra per mezzo dello scambio, ed ognuna di esse produce a suo rischio e pericolo, senza essere mai in grado di adattarsi con maggiore o minore precisione alla grandezza della domanda sociale e alla produzione nelle altre economie individuali. Ciò provoca la lotta reciproca delle diverse economie, la loro ‘concorrenza capitalistica’» (14). Nello stadio monopolistico la concorrenza capitalista non viene eliminata, ma cambia solo ‘forma’; e precisamente, secondo Bucharin, si trasferisce dal piano del mercato interno delle economie nazionali al piano del mercato mondiale: «La concorrenza passa allo stadio più alto, all’ultimo degli stadi di sviluppo concepibili: ‘la concorrenza dei trust capitalistici di Stato sul mercato mondiale’. Nell’ambito delle economie “nazionali” si riduce al minimo solo per scatenarsi su scala grandiosa, che mai fu possibile in nessuna delle epoche storiche passate» (15). Non vi è dubbio che in tale modo Bucharin coglie una tendenza specifica dello sviluppo capitalistico nell’epoca dell’imperialismo: una tendenza che, con altri termini, è messa pure in rilievo nell’analisi di Lenin. Ma, a differenza di Lenin, egli è portato a trascurare come irrilevante tutto ciò che non rientra in questa tendenza o vi contraddice. Così può scrivere che la concorrenza, scaricandosi sul mercato mondiale, «’si riduce al minimo’» sul mercato interno delle singole economie nazionali; e nella conclusione del libro, con una ulteriore semplificazione anche questo «ridursi al minimo» viene fatto scomparire, e infine la concorrenza appare del tutto ‘eliminata’ all’interno delle economie nazionali (16)” [Valentino Gerratana, ‘Stato socialista e capitalismo di Stato’, ‘Critica marxista’, Roma, 1970] [(11) L’importanza di questo testo postumo, allora scarsamente noto, era sfuggita anche a Lenin, che non ha mai occasione di accennarvi; ma è ovvio che non basta la conoscenza dell”Introduzione’ del ’57 a garantire una corretta e feconda interpretazione del marxismo. (…); (12) N.J. Bucharin, ‘L’economia mondiale e l’imperialismo’, Roma, 1966, p. 245; (13) K. Marx, ‘Per la critica dell’economia politica’, Roma, 1957, p. 188; (14) N.I. Bucharin, op. cit., pp. 247-48; (15) Ivi, p. 255. Ciò non significa che, per Bucharin, la concorrenza sul mercato mondiale debba considerarsi come un fatto del tutto nuovo: «la concorrenza fra le “economie mondiali”, cioè fra le loro classi dominanti – continua il passo citato – esisteva naturalmente anche prima, ma allora aveva un carattere completamente diverso, poiché la struttura interna di queste economie “nazionali” era completamente diversa. L'”economia nazionale” non appariva sul mercato mondiale come un tutto omogeneo, organizzato, incredibilmente forte dal punto di vista economico, al suo interno dominava incondizionatamente la libera concorrenza. E, al contrario la concorrenza sul mercato mondiale era estremamente debole. Le cose sono completamente diverse ora, nell’epoca del capitalismo finanziario, quando il centro di gravità viene trasferito alla concorrenza di giganteschi corpi economici compatti ed organizzati, le cui capacità di lotta sono immense, nella competizione mondiale delle “nazioni”. Qui la concorrenza celebra le sue massime orgie, e insieme con essa si trasforma e passa ad una fase superiore il ‘processo di centralizzazione del capitale’»; (16) «Il capitalismo si è sforzato di abolire l’anarchia che gli è propria stringendola nell’anello di ferro dell’organizzazione statale. Ma avendo eliminato la concorrenza all’interno dello Stato ha scatenato tutti i demoni della mischia mondiale» (ivi, p. 334)] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]