“Lenin ebbe una percezione abbastanza tempestiva del crescere del fenomeno burocratico, ma non fu certo l’unico. La sinistra del partito (Opposizione Operaia e Centralismo Democratico) aveva già denunciato la chiusura degli spazi democratici indicando la radice più importante del fenomeno nel ripristino della disciplina capitalistica del lavoro di fabbrica, nella ricomparsa dei direttori (52), ecc., Ma la sua voce era restata inascoltata e la proposta di un ritorno ai meccanismi di autogestione spontanea dei primi tempi della rivoluzione era oggettivamente debole perché non offriva una risposta adeguata alle urgenze del sistema industriale sovietico. Forse, ancora più lungimirante fu Bucharin, che iniziò ad intuire che non necessariamente la classe dominante avrebbe dovuto avere il ‘possesso’ legale dei mezzi di produzione. Bucharin aveva iniziato a riflettere sul fallimento del comunismo di guerra e la sua entusiastica adesione alla NEP (53) fu determinata proprio dalla constatazione dell’inutilità economica di un regime di stretti controlli nei confronti dei contadini: l’eccesso di personale di controllo che ciò comportava si risolveva in un danno economico essendo più conveniente affidarsi alla spontaneità del mercato lì dove la pianificazione risultava essere solo il pretesto per la nascita di un pachidermico apparato di ‘cinovniki’. Scrive Cohen: «L’analisi di Bucharin era degna di nota per la implicita deviazione dalla definizione marxista ortodossa di classe. La stretta associazione di dominio di classe e proprietà legale avrebbe più tardi impacciato le critiche dei comunisti antistalinisti per decenni… Bucharin stava mettendo in guardia contro “una nuova classe dominante” fondata non sulla proprietà privata ma sulla autorità e sul privilegio monopolistici… Sulla base della proprietà nazionalizzata avrebbe potuto emergere una classe sfruttatrice organizzatrice (54)». Come è noto Bucharin fu l’unico dirigente bolscevico a dimostrare interesse verso la nascente sociologia e proprio le sue letture di carattere sociologico (in particolare il saggio ‘Sulla sociologia della natura del partito nella democrazia moderna’ di Robert Michels) gli fornirono la sensibilità per intuire i complessi fenomeni sociali in atto. Certamente (e anche Cohen lo ammette) non esiste una teoria compiuta della burocrazia di Bucharin ed anzi si ha la sensazione che, una volta avuto il sentore dell’enormità del problema e delle sgradevoli conseguenze che esso avrebbe potuto determinare, egli si sia ritratto impaurito evitando di riprendere il discorso in sedi pubbliche. Ma è probabile che Cohen abbia ragione quando afferma che Bucharin fece da allora il suo cruccio segreto della paura della affermazione di una «nuova classe sfruttatrice», e spesso le sue posizioni politiche furono determinate da considerazioni dettate da queste preoccupazioni. La dittatura dell’industria, per Bucharin, era il veicolo potenziale che avrebbe potuto trasformare il proletariato, o il suo partito, nell’embrione di una nuova classe che si reggeva sullo sfruttamento dei contadini, per questo le posizioni della sinistra a favore dell’industrializzazione gli facevano pensare al comunismo di guerra, all’insensibilità di fronte al problema della necessità del consenso da parte delle masse contadine e quindi alla necessità di una apparato coercitivo sempre più forte. Per questo «l’antidoto contro la burocrazia consisteva nel riempire questo vuoto con centinaia e migliaia di società, di circoli e associazioni volontari, piccoli e grandi in rapida espansione, i quali avrebbero fornito i legami con le masse… La loro proliferazione avrebbe espresso ciò che Bucharin chiamava la “crescita della struttura sociale sovietica” (‘sovetskaja obscestvennost’ = opinione pubblica sovietica) e avrebbe ricostruito il tessuto sociale disintegrato» (55). E per Bucharin dire “le masse” significava dire i contadini. Ciò spiega come mai, mentre per Lenin la NEP era un momentaneo ripiegamento, per Bucharin essa era un fondamento strategico intoccabile del sistema politico e già, di per sé, un elemento di socialismo. Per Lenin il problema della burocrazia si poneva in termini radicalmente diversi: Lenin pensava che essa fosse una eredità del vecchio regime che i comunisti non erano riusciti a superare. «Abbiamo nelle sfere più alte del potere non si sa esattamente quanti, ma almeno qualche migliaio, al massimo qualche decina di migliaia, dei nostri. Tuttavia alla base della gerarchia centinaia di migliaia di ex-funzionari che abbiamo ereditato dallo zar e dalla società borghese, lavorano, in parte coscientemente, in parte incoscientemente, contro di noi». «Che cosa manca allora? E’ chiaro: manca la cultura fra i comunisti che hanno funzioni dirigenti. Prendiamo Mosca: in cui vi sono 4700 comunisti responsabili e prendiamo questa macchina burocratica, questa massa. A dire il vero non sono essi che guidano ma sono guidati». Insomma per Lenin le cose stavano più o meno nei termini indicati nel detto latino di ‘capta Graecia’ (*): i comunisti avevano preso il potere ma, non sapendolo amministrare, erano di fatto guidati dai vecchi funzionari. Probabilmente Lenin coglieva un tratto vero e non irrilevante del fenomeno, ma mancava in lui ogni riferimento alla possibilità di una burocrazia scaturita dal seno stesso del partito comunista e non indotta dall’esterno. Per Lenin la burocratizzazione era un male che aveva radici esogene rispetto al corpo sano del partito comunista o della dittatura del proletariato. E per questo quel che preoccupava Lenin più di ogni altra cosa era proprio la macchina partito. «Per lottare contro tutte le tendenze nefaste, per cercare di rimediare a tutte le malattie dell’apparato dello Stato e del partito, Lenin non vedeva che un punto di partenza: organizzare in modo esemplare l’élite comunista e, innanzitutto, il gruppo dirigente del partito (56)” (pag 46-47) [Aldo Giannuli, ‘Da Lenin a Stalin. La formazione del sistema di potere sovietico, 1923-1927’, Udine, 2017] [(52) Daniels, ‘La coscienza della rivoluzione’, Firenze, 1970, pp. 19-20; (53) Bucharin sostenne, in polemica con Lenin, che la NEP non potesse essere definita “capitalismo di Stato” a meno di non voler usare questa espressione in modo del tutto inappropriato. Cfr. Daniels, op. cit., pp. 237 e segg.; (54) Cohen, ‘Bucharin e la rivoluzione bolscevica’, Milano, 1975, p. 148; (55) Ivi, p. 150; (56) Lewin, ‘L’ultima battaglia di Lenin’, Bari, 1969, p. 133; (*) Orazio Epistole, II, 1, 156 ‘Graecia capta ferum victorem cepit‘ ‘La Grecia conquistata (da Roma), conquistò il feroce vincitore’, ndr] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:24 Dicembre 2017