“Se grande importanza avevano queste dimostrazioni per lo sviluppo del pensiero economico ancor più grande era la loro importanza nel campo della prassi economica e politica. Eliminando tutte le obiezioni all’accumulazione capitalistica esse davano l’avallo della scienza al credo dell’epoca: “accumulate, accumulate: questa è la legge e questo dicono i profeti!” (9). E stabilivano una gerarchia nelle classi sociali mediante la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, togliendo dal proprio piedistallo e denunciando come dannoso a tutta la società il consumo improduttivo dei proprietari fondiari, residui di un’epoca storica oramai tramontata. Chi avesse voluto assumersi il compito di difendere gli interessi di questi ultimi, poteva seguire due strade: o negare interamente la validità del sistema economico elaborato da Smith e Ricardo oppure cogliere in esso le contraddizioni meno palesi che compromettessero decisamente il postulato del suo funzionamento automatico. L’autorità acquistata dal sistema, il riflesso che in esso trovavano l’esperienza e i problemi economici dell’epoca, il prestigio indiscusso dei nomi di Smith e Ricardo, rendevano sommamente difficile, per non dire impossibile, la prima via. Malthus nella sua difesa degli interessi fondiari fu perciò costretto a imboccare la seconda. Nel 1820 egli pubblicava i ‘Principles of Political Economy’ in cui insieme a varie questioni di metodo è esposta una coerente difesa del consumo improduttivo interessante non tanto per il contenuto di classe evidentissimo quanto perché essa rappresenta il primo attacco ragionato al capitalismo rivolto nell’ambito di una esposizione scientifica che lo approva. Da qui agli attacchi in vista della negazione del capitalismo, il passo è breve. Noi però qui, senza entrare in particolari sulle altre questioni toccate da Malthus nel suo libro, ci fermeremo esclusivamente sull’argomentazione da lui svolta per negare l’esistenza del meccanismo automatico per il raggiungimento dell’equilibrio nel sistema capitalistico e più particolarmente la validità della legge di Say. Concetto fondamentale dell’analisi malthusiana è il concetto di ‘domanda effettiva’. Secondo Malthus al capitalista non basta produrre le merci perché sia concluso il ciclo produttivo. Alla produzione deve seguire la vendita ‘con profitto’ del prodotto affinché questo processo si chiuda favorevolmente per il capitalista e possa quindi continuare nel ciclo successivo. Condizione essenziale perché questo si verifichi è che sul mercato si abbia una domanda di merci abbastanza alta che garantisca la continuazione del processo di produzione. Ma qual è l’incentivo che potrà spingere il capitalista a intraprendere questo processo? Come sappiamo, in regime capitalistico questo incentivo è rappresentato dal profitto, il quale per Malthus è compreso nel costo di produzione delle merci. Cosicché, affinché il capitalista continui a produrre, dalla vendita del prodotto sul mercato egli deve attendere non soltanto il rimborso delle spese sostenute ma anche quella aliquota di profitto che lo induca a continuare nella produzione. Se dunque per una ragione qualsiasi il mercato non è in grado di assicurare ‘automaticamente’ questo risultato si ha, primo, la prova che la legge di Say accolta da Ricardo non è vera, secondo, la necessità di trovare un rimedio che faccia fronte a questo stato di cose e consenta al sistema capitalistico di continuare a funzionare” [Luigi Occhionero, ‘Economia politica. XXXII lezione. Lo sviluppo del pensiero economico dai classici a Keynes. T.R. Malthus e la critica conservatrice’, Roma, 1955] [(9) K. Marx, ‘Il Capitale’, Ed. Rinascita, Roma, 1952, vol I., p. 40]