“Il modello degli economisti teorizza un terzo sistema, radicalmente diverso dal capitalismo e dal cosiddetto “socialismo realizzato”, laddove il modello dei giuristi teorizza un terzo settore, che vive in un ambito ristretto all’interno del capitalismo. Ci può essere differenza maggiore tra i due tipi di cooperative? Nel modello teorizzato dagli economisti il potere del capitale è completamente annullato e in ciò consiste il grande pregio della democrazia economica. La critica secondo la quale nelle grandi imprese la gestione affidata ai lavoratori non darebbe un gran potere di fatto ai lavoratori è probabilmente fondata. Ma il grande pregio della democrazia economica sta assai meno nel fatto che essa dà il potere ai lavoratori e assai più nel fatto che essa toglie ogni potere ai capitalisti. Il principio “una testa, un voto”, limitato alla politica, non impedisce che chi controlla gli strumenti della produzione controlli tutta l’attività umana, giacché, come Marx ha insegnato, “il capitale è la potenza economica della società borghese che domina tutto” (Marx 1857, p. 195). Lo stesso principio, invece, applicato sia all’economia che alla politica, toglie ogni potere al capitale. Se è vero, dunque, che, come Marx ha insegnato, chi controlla gli strumenti della produzione controlla la vita degli uomini, poiché ha nelle sue mani i mezzi indispensabili alla realizzazione di qualsiasi fine individuale e di gruppo (Pellicani 1976, p. 62), il grande significato della gestione delle imprese da parte dei lavoratori è che essa toglie ogni potere ai capitalisti e realizza in tal modo un grande passo avanti sulla via della libertà. (…) E’ noto che, prima che Marx scrivesse ‘Il Capitale’, Fourier, Owen, Blanc, Proudhon e altri avevano tracciato, anche se in forme diverse tra loro, disegni di una società basata appunto sulla gestione delle imprese da parte dei lavoratori: e le loro opinioni avevano avuto grande successo tra i leader politici della sinistra dell’epoca. In Germania, in particolare, il partito socialdemocratico aveva nel suo programma la creazione di un sistema di cooperative, che erano considerate imprese socialiste, alternative alle imprese capitaliste. Ma poi, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, il limitato successo delle esperienze di cooperazione, la critica di Marx e dei marxisti a Proudhon e ai suoi progetti politici e, più in generale, al socialismo “utopistico” di tipo anarchico e, forse anche, la critica degli economisti liberali come Pantaleoni (che negò ogni differenza sostanziale tra le imprese cooperative e quelle capitalistiche) misero molti freni alla crescita del movimento cooperativo; e da allora in poi è prevalsa l’opinione che gli interessi dei lavoratori siano difesi meglio dal sindacato che dalla gestione diretta delle imprese da parte dei lavoratori (18)” [Bruno Jossa, Gli intellettuali e la democrazia dell’impresa] [(in) Studi e note di economia, Firenze, n° 1, 2006]