“Nel primo capitolo dell’opera [‘Filosofia della miseria’, ndr] la critica di Proudhon conteneva mediatamente già una critica dell’economia borghese. Questa scienza nei suoi rappresentanti classici, aveva riconosciuto l’intima struttura della società borghese assai più esattamente di quel che Proudhon aveva saputo fare, ma le sue categorie, come valore, denaro, scambio, valgono appunto soltanto per la società borghese. Esse hanno le loro radici nell’antagonismo tra capitale e lavoro, nell’antagonismo delle classi; cadono col cadere di questi antagonismi. Le categorie dell’economia politica non sono, come essa si immagina, eterne e naturali, bensì storiche e sociali. Se Ricardo aveva esposto le forme delle categorie economiche allo stato di quiete, Marx ne esponeva le loro funzioni nello stato di moto. Di ciò egli si occupa specialmente nel secondo capitolo della sua opera che indaga sul bizzarro metodo di Proudhon (‘Filosofia della miseria’, ndr). Marx dice: “Le categorie economiche non sono che le espressioni teoriche, le astrazioni dei rapporti sociali di produzione… I rapporti sociali sono intimamente connessi alle forze produttive. Impadronendosi di nuove forze produttive, gli uomini cambiano il loro modo di produzione e, cambiando il modo di produzione, la maniera di guadagnarsi la vita, cambiano tutti i loro rapporti sociali. Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore la società col capitalista industriale. Quegli stessi uomini che stabiliscono gli stessi rapporti sociali conformemente alla loro produttività materiale, producono anche i principi, le idee, le categorie, conformemente ai loro rapporti sociali. Così queste idee, queste categorie sono tanto poco eterne quanto le relazioni che esse esprimono” (1). Marx paragona gli economisti borghesi ai teologi ortodossi per i quali la propria religione è una rivelazione di dio e tutte le altre sono invenzioni umane. Così per gli economisti vi è stata una storia quando esistevano le “artificiose” istituzioni del feudalesimo, ma non vi è più storia da quando esistono le “eterne e naturali” istituzioni della borghesia” [Franz Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca. Volume 1, 1968] [(1) K. Marx, Miseria della filosofia, Roma, 1950, p. 89]