“Forse, come sostiene il Blaug (6), il successo del marginalismo nell’Inghilterra degli anni ottanta e novanta si deve in parte non trascurabile al diffondersi del marxismo e del fabianismo. Lo strumento intellettuale offerto dalla teoria soggettiva del valore venne difatti usato in diverse occasioni dagli avversari di Marx e dell’idea socialista. Capovolgendo il punto di vista classico un nuovo indirizzo economico si sforza di provare che il valore dei beni non è una qualità delle cose ma semplicemente la loro misura. L’apprezzamento soggettivo dei beni è perciò relativo e contingente. Da questa premessa al tentativo di formulare una teoria generale dei prezzi, il passaggio è immediato, il prezzo dei beni è indipendente dalle loro proprietà naturali non meno che dal lavoro in essi incorporato: come si determina il loro valore? cioè come si forma un sistema di prezzi relativi? E’ attraverso questa ricerca che Jevons, Menger e Walras, per differenti vie ed ignorando ciascuno il lavoro degli altri, giunsero quasi contemporaneamente alla formulazione, prima della teoria dell’utilità marginale e, poi, a quella della produttività marginale. Dalle due teorie discese l’applicazione del marginalismo alla legge della distribuzione da cui la nuova impostazione logica dei prezzi relativi dei fattori di produzione, terra, capitale e lavoro. La legge dei gradi finali di utilità non scoprì soltanto l’errore marxiano del plusvalore relativo come fondamento dei prezzi delle merci scambiate, ma costituì anche il detonatore della “rivoluzione scientifica” mossa da Jevons, Menger e Walras contro le leggi classiche di Smith, Ricardo e S. Mill” [Giampiero Franco, Introduzione] [(in) Carl Menger, Principi di economia politica, 2006, a cura di Elena Franco Nani] [(6) Si veda M. Blaug, ‘There never was a marginal Evolution’, cit, p. 5 e anche A. Nussbaumer, ‘On the Compatibility of Subjective and Objective Theories of Economic Value’, in ‘Carl Menger and the Austrian School’, cit, cap. 5]