“Allorché dominano i prezzi di monopolio, la domanda rimane assolutamente indeterminabile e indeterminata, ed è impossibile prevedere come reagirà all’aumento dei prezzi. Il prezzo di monopolio può essere stabilito empiricamente, senonché il suo livello non può certo essere individuato in modo teoricamente obbiettivo, ma semmai colto secondo una intuizione psicologica soggettiva. E’ per questo che l’economia classica, nella quale va incluso anche Marx, non ha tenuto conto, nelle sue argomentazioni deduttive, del prezzo di monopolio, e cioè del prezzo di quei beni che non possono essere aumentati ad arbitrio. Al contrario, sarà proprio i vacuo tentativo della scuola psicologica di “spiegare” i prezzi di monopolio che spingerà quegli economisti a “spiegare”, in base all’assunta limitatezza delle scorte dei beni, tutti i prezzi come prezzi di monopolio. L’economia classica considera i prezzi come forma fenomenica della anarchica produzione sociale, e ritiene che il loro livello dipenda dalla forza produttiva sociale del lavoro. Peraltro, la legge obiettiva del prezzo si fa valere soltanto mediante la concorrenza. Le unioni monopolistiche eliminando la concorrenza, eliminano contemporaneamente l’unico mezzo con cui la legge obbiettiva del prezzo riesce ad imporsi. Il prezzo cessa di essere una grandezza determinata da leggi obiettive: esso diviene, per coloro che lo impongono con atto di consapevole arbitrio, un semplice problema di calcolo; da risultato esso si fa presupposto, da dato obbiettivo, dato soggettivo, da elemento necessario ed indipendente dal volere e dalla coscienza degli interessati, dato imposto e casuale. L’effettivo realizzarsi, nell’ambito dell’unione monopolistica, della legge sulla concentrazione scoperta da Marx sembra quindi implicare il superamento della teoria del valore” [Rudolf Hilferding, Il capitale finanziario, 1961]