“La trattazione che Marx fa dell’impiego delle macchine nei ‘Grundrisse’ (Lineamenti fondamentali, vol. 2, pp. 400-03) è notevole per varie ragioni, ma innanzitutto per questa, che è quello l’unico luogo in cui in modo esplicito la prospettiva della fine del mondo capitalistico di produzione è collegata strettamente alla teoria del valore-lavoro. Ripetiamo la tesi di Marx, della quale ci siamo già occupati. I mezzi di produzione, quando sono assunti nel processo capitalistico, subiscono “diverse metamorfosi”. L’ultima di queste – il “sistema delle macchine”, appunto – rappresenta la perfetta adeguazione del processo tecnico di produzione alla natura del capitale. Questa omogeneizzazione della forma tecnica al capitale consiste in ciò: “La macchina non si presenta sotto alcun rispetto come mezzo di lavoro dell’operaio singolo. La sua differenza specifica non è affatto, come nel mezzo di lavoro, quella di mediare l’attività dell’operaio nei confronti dell’oggetto; ma anzi questa attività è posta ora in modo che è essa a mediare soltanto ormai il lavoro della macchina, la sua azione sulla materia prima – a sorvegliare questa azione e a evitarne le interruzioni”. Ossia. In tutte le tecnologie che hanno preceduto il capitalismo, il rapporto tra il lavoro e lo strumento del lavoro si presenta in questa forma: lo strumento di lavoro è ciò che media tra il lavoro e la natura; abbiamo perciò un termine iniziale, o attivo, che è il lavoro, un termine finale, o passivo, che è la natura, e un termine intermedio che è appunto lo strumento. Con le macchine, cioè con il processo produttivo reso omogeneo al capitale, il rapporto è rovesciato: all’inizio c’è, in posizione attiva, il sistema delle macchine, in cui sono incorporate la scienza e l’organizzazione, mentre è l’attività dell’operaio, “ridotta a una semplice astrazione di attività”, a mediare il rapporto delle macchine con la natura. Quindi non è più l’abilità dell’operaio che determina l’uso dello strumento, ma è la legge di funzionamento della macchina che determina l’attività dell’operaio. Ora, prosegue Marx, in forza di questo rovesciamento “la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e che, a sua volta – questa loro ‘powerful effectiveness’ – non è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione, ma dipende invece dalla stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione” [Claudio Napoleoni, Discorso sull’economia politica, 1985]