“Non si finirebbe mai con il repertorio di tutte le testimonianze di affetto di Marx e Engels verso il pensiero di Hegel, che Engels non esitava a definire testimonianze di “pietà” (‘Pietät’)! Sicuramente si applica a Marx una specie di psicoanalisi epistemica e lo si tratta come lui stesso trattava qualunque filosofo del passato del quale denunciava la mancanza di lucidità: essi non scorgevano le condizioni concrete della loro attività intellettuale. Se lo si esponesse allo stesso rimprovero, Marx risulterebbe squalificato. Ma il rispetto per una filiazione non implica l’abbandono di un’identità propria. I fervidi elogi con i quali Marx e Engels gratificano Hegel non impediscono ad essi di distinguere nettamente la loro dottrina dalla sua. Il marxismo non è l’hegelismo. Altrimenti la parola ‘marxismo’ perderebbe di significato, ma anche l’hegelismo perderebbe ogni ragione di sopravvivenza! Marx segna nettamente la differenza o l’opposizione: “Il mio metodo di sviluppo non è il metodo hegeliano, poiché io sono materialista e Hegel idealista. La dialettica di Hegel è la forma fondamentale di ogni dialettica, ma solamente dopo averla spogliata della sua forma mistica – ed è precisamente questo che differenzia il ‘mio’ metodo”. Distinzione e modificazione non significano affatto annientamento. Marx visse in un’epoca diversa da quella di Hegel. Egli attribuisce a Hegel il ruolo di filosofo della borghesia, mentre lui, in un altro mondo economico e sociale, aspira ad essere il filosofo del proletariato che non si era ancora manifestato in modo autonomo quando Hegel osservava la vita economica e sociale. Per questo, e anche per altri motivi, gli atteggiamenti essenziali dei due uomini differiscono profondamente. Hegel si accontenta – ma è già molto! – di “comprendere ciò che è”, come disse. Marx, vuole in più provocare una ‘trasformazione’ di ciò che è, e partecipare a questa trasformazione del mondo: differenze numerose, dunque, e ci vorrebbe troppo tempo per enumerarle” [Jacques D’Hondt, Hegel, 1999]