“A testimonianza del peso che il modello della rivoluzione francese conservava originariamente nella socialdemocrazia presso coloro che dovevano diventare la nuova generazione marxista, la generazione cioè dei diffusori e sistematizzatori del marxismo e le guide teoriche della Seconda Internazionale, possiamo citare quanto Karl Kautsky scrisse nella sua tarda opera ‘Die Materialistisce Geschichtauffassung’ del 1927, Kautsky, riferendosi al periodo in cui egli entrò nel partito socialdemocratico (cioè a metà degli anni ’70), scrive «Eravamo tutti convinti che saremmo andati incontro a una nuova edizione della grande rivoluzione francese , solo con un proletariato più sviluppato» (4). Questa osservazione è molto interessante ai fini del nostro discorso, anche se Kautsky subito dopo aggiunge che il modello della grande rivoluzione conviveva, generando incertezze, con quelli del 1848 e del 1871. In realtà, nel periodo della Seconda Internazionale, nell’Europa centro-occidentale il modello giacobino perde sempre più significato in relazione agli effetti di uno sviluppo capitalistico impetuoso che per un verso provoca parlamentarizzazione e parlamentarismo e per l’altro mette al centro un rivoluzionarismo che in ogni caso è essenzialmente antigiacobino, poiché poggia sull’idea di una rivoluzione proletaria di massa che si emancipa dal primato dell’iniziativa delle ‘élites’. In questo senso sono antigiacobini i sindacalisti rivoluzionar, che affondano le loro radici nell’antigiacobinismo di Proudhon; e sono antigiacobini anche i marxisti rivoluzionari come – per fare un unico nome di immediata risonanza – Rosa Luxemburg (…)” (pag 102) [(4) K. Kautsky, ‘Die Materialistisce Geschichtauffassung’, vol. II, Berlin, 1927, p. 658]

La polemica di Trockij e della Luxemburg. “Il violento attacco che Trotsky condusse contro Lenin ne ‘I nostri compiti politici’ del 1904 (Roma, 1972, p. 124-141) è tutto riassunto nell’accusa rivolta a quest’ultimo di aspirare al ruolo di nuovo Robespierre all’interno di un movimento operaio e di una socialdemocrazia che hanno il proprio tratto distintivo proprio in una politica che deve legare masse operaie e partito in modo opposto a quello che legava popolo e giacobini. Trotsky riprende appieno un filone del pensiero di Marx, servendosi persino delle sue parole . Il giacobinismo è un tentativo di soffocare le “contraddizioni interne” della società borghese alla luce di un ideale utopico e antistorico. La ghigliottina rappresentò la materializzazione sanguinosa di questa utopia ideologica. (…)” (pag 105)

“Nel 1906, in un altro importante saggio ‘Bilanci e prospettive’ Trotsky da un lato mantiene intatto il suo antigiacobinismo, tanto da scrivere che «tutto l’attuale movimento proletario internazionale si è formato e rafforzato nella lotta contro le tradizioni del giacobinismo»; dall’altra, però, sull’onda della rivoluzione russa e delle accuse alla socialdemocrazia di «giacobinismo» da parte del «liberalismo anemico», prende ora a difendere il giacobinismo come modello di energia rivoluzionaria che «resta vivo, come tradizione, nella memoria del popolo» (10). E addirittura indice nella «dittatura dei sanculotti» (n episodio «non transitorio», tanto da segnare con la «sua impronta tutto il secolo successivo» (11)” (pag 106)

“E’ ancora una volta Lenin a prendere partito senza esitazione a favore dei giacobini, insomma a proclamarsi neogiacobino in quanto autentico rivoluzionario socialista. Nel giugno 1917 egli, addirittura, prende partito per i giacobini facendo tacere qualsiasi riserva. «La grandezza storica dei veri giacobini, dei giacobini del 1793, è consistita nel fatto che essi erano “giacobini ‘con’ il popolo”, con la ‘maggioranza rivoluzionaria del popolo, con le classi ‘rivoluzionarie’ più avanzate del ‘loro’ tempo» (13). E’ evidente che dunque qui il bolscevismo viene concepito come un giacobinismo che deve riprendere l’opera di quest’ultimo su basi sociali bensì nuove ma secondo una continuità del modello di direzione politica. Poco dopo, Lenin riprende il discorso sui giacobini. E dice esplicitamente che i proletari e i semiproletari rivoluzionari sono «i “giacobini” del XX secolo». E dove individua Lenin propriamente la sede dell’identità giacobini – forze rivoluzionarie del XX secolo? Nel pieno accordo su come si eserciti la dittatura. Ecco: «I giacobini del 1793 sono entrati nella storia come un grande esempio di lotta veramente rivoluzionaria contro la ‘classe degli sfruttatori’ da parte della ‘classe dei lavoratori e degli oppressi’, impadronendosi di ‘tutto’ il potere statale (14)”
(pag 106)

“Detto questo, Lenin esprime quella che alla luce del successivo corso del bolscevismo appare una vera e propria utopia leniniana. Egli dice che il giacobinismo dei rivoluzionari socialista sarà senza terrore. «I “giacobini” del XX secolo – dice – non si metteranno a ghigliottinare i capitalisti»; sarà sufficiente arrestare un pugno di grossi capitalisti per stroncare la reazione (15)” (pag 107)

“Vorrei infine notare che il giacobinismo di Lenin ebbe nel corso degli anni che dal 1917 vanno al 1919-20 due diverse fasi: prima la fase sovietistica e poi quella del totale svuotamento dei soviet. Ma si badi: tanto nella prima che nella seconda fase Lenin restò un giacobino nel senso che mai sottopose alla spontaneità-sovranità del popolo” (pag 107)

[(10 .D. Trotsky, Classi sociali e rivoluzione. Bilanci e prospettive, Milano, 1976, pp. 70-71; (11) Ibidem, p. 87; (13) V.I. Lenin, Opere complete, vol. XXIV, Roma, 1966, pag 543; (14) V.I. Lenin, Opere complete, vol XXV, Roma, 1967, pp 49-50; (15) Ibidem, p. 49]

[Massimo L. Salvadori, ‘Il giacobinismo nel pensiero marxista’, Mondo Operaio, n: 5, maggio 1982, pag 100-111]