“In Germania, Robespierre trovò un più critico e prudente ammiratore nel giovane Karl Marx. A quel tempo Marx dirigeva a Colonia la ‘Rheinische Zeitung’ e, nell’ambiente dei giovani hegeliani, andava sviluppando le sue teorie sulla lotta delle classi, il ruolo delle idee e la natura dello Stato. Egli scelse la rivoluzione francese come banco di prova delle sue nuove idee e la vide, a quel tempo, come una rivoluzione principalmente ‘politica’, in cui la classe emergente, la borghesia, pur accettando i «plebei» o sanculotti come alleati, sfruttò le loro energie a proprio esclusivo vantaggio e per favorire lo sviluppo di uno Stato borghese. In questa operazione, Marx riconobbe che Robespierre e i giacobini avevano avuto un ruolo particolare necessario da svolgere, in quanto usarono il Terrore per vincolare la nazione alle esigenze di una guerra rivoluzionaria; ma una volta superato il pericolo di un’invasione, essi furono inevitabilmente messi da parte, poiché sostenevano l’idea illusoria e anacronistica che si potesse costruire il nuovo Stato su un modello tratto dall’antichità classica invece di venire a un compromesso con il modello «borghese», meglio adeguato ai tempi. In questo quadro, Robespierre venne presentato non come un eroe né come un malvagio, ma come un utopista che aveva giocato un ruolo storico necessario, anche se limitato (26). Vedremo che i marxisti nel secolo successivo non rimasero affatto legati a questa interpretazione” (pag 65-66) [(26) A. Cornu, ‘Karl Marx’ Stellung zur französischen Revolution und zu Robespierre (1843-1845), in ‘Maximilien Robespierre’, a cura di W. Markov, cit., pp. 553-571] [George Rudé, ‘Robespierre. Ritratto di un democratico rivoluzionario’, Editori Riuniti, Roma, 1979]