“Secondo la tesi marxista l’interesse nazionale non è propriamente l’aggregazione, opportunamente ponderata, degli interessi dei diversi gruppi che concorrono a formare la società del paese in questione, bensì semplicemente l’interesse di una particolare classe dominante: quella dei capitalisti. L’interesse nazionale è una media ponderata solo nell’ipotesi che la classe dei capitalisti abbia peso uno e tutte le altre – e soprattutto la classe lavoratrice – peso zero. Nella sfera della politica interna lo stato è gestito da e per i capitalisti, i quali opprimono con la forza altri gruppi che potrebbero sfidare il loro predominio. Nella sfera della politica internazionale lo stato sostiene gli interessi del capitale, cercando di appoggiare i suoi sforzi volti a sfruttare mercati, risorse e lavoro stranieri e ricorrendo alla forza per reprimere ogni tentativo dei paesi sfruttati di conquistare l’indipendenza o di mutare i rapporti contrattuali da loro imposti. I marxisti ritengono che la linea di demarcazione tra gli interessi di classe dei capitalisti e quelli dei lavoratori valichi i confini nazionali, e prestano scarsa attenzione alla possibilità che, diciamo, gli interessi degli industriali canadesi siano in contrasto con quelli degli industriali Usa, o che l’United Automobile Workers, il sindacato dei lavoratori dell’industria automobilistica americana, possa considerare con preoccupazione un aumento delle importazioni di automobili straniere negli Stati Uniti, anche se ciò avrebbe come effetto un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori della Volkswagen e della Toyota. Si noti che secondo la tesi marxiana il nazionalismo è una forza unificatrice meno potente della funzione economica” [Charles P. Kindleberger. Potere e denaro, 1972]