“Ci confortava in questa posizione l’insegnamento dei classici del marxismo, che avevano studiato l’esperienza della lotta del popolo nella rivoluzione francese, dei ‘guerilleros’ spagnoli, della Comune di Parigi, delle rivoluzioni russe e anche alcuni aspetti delle guerre del Risorgimento italiano. Carlo Marx, commentando a caldo, il 1° aprile 1849, la disfatta dei piemontesi a Novara aveva scritto: «I piemontesi hanno commesso un errore enorme fin dall’inizio, contrapponendo agli austriaci soltanto un esercito regolare e volendo condurre una guerra ordinaria, borghese, onesta. Un popolo che vuole conquistarsi l’indipendenza non deve limitarsi ai mezzi di guerra ‘ordinari’. L’insurrezione in massa, la guerra rivoluzionaria, la guerriglia dappertutto, sono gli unici mezzi con i quali un piccolo popolo può vincere uno più grande, con i quali un esercito più debole può far fronte ad un esercito più forte e meglio organizzato». E Marx avvertiva già allora: «La rivolta delle masse, l’insurrezione generale del popolo … sono mezzi la cui applicazione presuppone il terrore rivoluzionario». Dell’applicazione di questi mezzi ebbe paura, nel 1849, la monarchia di Savoia, e perciò portò il Piemonte alla disfatta. «La monarchia non si arrischierà mai ad una guerra rivoluzionaria, a un sollevamento delle masse, al terrore rivoluzionario. Piuttosto di allearsi con il popolo, essa preferirà concludere la pace con il suo peggior nemico, ma suo uguale per l’origine», concludeva Marx nel 1849” [introduzione (pag XV-XVI), (in) ‘Sulla via dell’insurrezione nazionale’, di Luigi Longo, Edizioni di Cultura Sociale, Roma, 1954]