“Lenin mi disse di andare da lui. Trovai la casa in una viuzza presso il parco di Monsouris (ora ho controllato: era la via Bognet). Rimasi a lungo davanti alla porta senza decidermi a suonare: della recente audacia non rimaneva traccia. Aprì la porta Nadiezda Kostantínovna. Lenin lavorava; se ne stava seduto, pensoso, alla scrivania davanti a un lungo foglio di carta; alzò appena gli occhi. Gli narrai il crollo dell’organizzazione studentesca, gli parlai dell’articolo ‘Due anni di partito unico’, della situazione a Poltava. Mi ascoltava con attenzione, di tanto in tanto sorrideva impercettibilmente; mi sembrava che indovinasse che io ero ancora un ragazzino, e questo mi confondeva le idee. (…) Mi meravigliò molto l’ordine: i libri erano sullo scaffale, mentre sul tavolo da lavoro di Vladimir Ilic non c’era nulla: niente assomigliava alle stanze dei miei compagni di Mosca, né all’appartamento dove vivevano Savcenko e Liudmila. Vladimir Ilic ripeté più di una volta a Nadiezda Kostantinovna [Krupskaia]: «Viene direttamente di là… sa come vivono i giovani…». (…) Sentii parlare Lenin più di una volta in assemblee; parlava con calma senza riscaldarsi eccessivamente, senza eloquenza; aveva l’erre un po’ dolce; ogni tanto sorrideva. I suoi discorsi assomigliavano a una spirale: temendo di non essere capito, tornava sul pensiero già espresso, ma non ripetendolo mai, bensì aggiungendogli sempre qualcosa di nuovo. (Alcuni che hanno voluto imitare questo modo di parlare, hanno dimenticato che la spirale assomiglia al cerchio e non assomiglia: la spirale va oltre). Lenin seguiva attentamente la politica francese, studiava la storia e l’economia della Francia, conosceva il modo di vita degli operai parigini. Non soltanto parlava francese, ma poteva anche scrivere articoli in questa lingua. Nel maggio 1909 partecipai a una manifestazione davanti al Muro dei comunardi. Sfilarono in prima fila i membri della Comune; erano ancora in buon numero e marciavano con baldanza. A me sembravano vecchissimi; pensavo alla Comune come a una pagina di storia antica: erano passati trentotto anni! Davanti al Muro dei comunardi vidi Lenin: stava in piedi tra un gruppo di bolscevichi e guardava il muro: dalla pietra sembravano uscire le ombre dei federati. Vidi Lenin anche nella biblioteca Saint-Généviève, e sulla panchina del parco di Monsouris, tra i vecchietti e i bambini, e nel teatro operaio di via Goethe, dove il tenore Montaigu cantava canzoni rivoluzionarie. Eravamo in piena polemica contro i socialisti rivoluzionari, che disprezzavano le leggi di sviluppo della società, ed io naturalmente negavo ogni funzione della personalità nella storia. Qualche anno fa riflettevo alla frase contenuta in una lettera di Engels: «Marx ed io siamo in parte colpevoli del fatto che i giovani a volte danno al lato economico più importanza di quanto si debba. Noi abbiamo dovuto, in polemica con i nostri avversari, sottolineare il principio fondamentale che essi negavano, e non abbiamo trovato sempre il tempo, luogo e occasione sufficiente per dare il dovuto anche agli altri elementi che partecipano alla inter-azione». L’esempio di Lenin mise molte cose al suo posto. Quando mi recai da Vladimir Ilic, la portiera mi disse severamente: «Pulitevi le scarpe». Forse che essa comprendeva chi fosse il suo inquilino? Forse comprendeva il cameriere del caffè dell’Avenue d’Orléans che di quel signore che ordinava un boccale di birra, otto anni dopo avrebbe parlato tutto il mondo? Forse che indovinavano i visitatori della biblioteca che quell’uomo che trascriveva accuratamente dai libri cifre e nomi, avrebbe mutato il corso della storia, che di lui avrebbero scritto decine di migliaia di autori in tutte le lingue del mondo? (…) Lenin era un uomo grande e complesso. Nei tempestosi anni della guerra civile, dopo che Isaia Dobrevein aveva eseguito una sonata di Beethoven, Lenin disse a A.M. Gorki: «Non conosco niente di più bello dell”Appassionata’, sono pronto ad ascoltarla tutti i giorni. E’ una musica meravigliosa, sovrumana. Io penso sempre con orgoglio forse ingenuo: ecco quali miracoli possono fare gli uomini! – E, socchiudendo gli occhi aggiunse senza allegria: – Ma non posso sentire spesso musica, mi innervosisce, fa venir voglia di dire tenere sciocchezze e accarezzare la testa degli uomini, che, vivendo in uno sporco infermo, possono creare tale bellezza. Ma guardare così oggi non si può, ti mordono la mano e bisogna battere sulle teste, essere implacabile, sebbene noi, nel nostro ideale, siamo contrari a ogni violenza contro gli uomini. Ehm, è un compito terribilmente arduo!». Ho trascritto questo lungo brano dei ricordi di Gorki, perché è troppo strettamente legato alla mia vita e ai miei pensieri: anzi, no, il termine non è esatto, al nostro secolo, al nostro destino” (pag 89-93) [Ilià Ehrenburg, ‘Uomini e anni’, Roma, 1960] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]