“Il metodo messo in opera da Marx, e che Engels considera una acquisizione “quasi altrettanto importante quanto la concezione materialistica fondamentale” (cioè il materialismo storico), è presentato da Engels in polemico contrasto sia col vecchio “metodo hegeliano”, sia l’ancora più vecchio “metodo metafisico-wolffiano” (con “le sue categorie fisse”), già “teoricamente demolito da Kant e specialmente da Hegel”, ma “tornato nuovamente di moda” presso gli economisti borghesi (e, più in generale, dominante nel “nuovo materialismo delle scienze naturali”) non solo per “pigrizia”, ma in mancanza di meglio. Il metodo hegeliano infatti “era scomparso perché la scuola hegeliana non aveva saputo far niente con esso”. Ma quando Engels, nel medesimo contesto, dichiara “assolutamente inutilizzabile” il metodo hegeliano “almeno nella forma in cui esso ‘si presentava’ egli si riferisce in modo specifico alle esigenze di sviluppo proprie della nuova “concezione del mondo” (di Marx e la sua), cioè del materialismo storico; concezione egli dice, “più materialista di tutte le precedenti”. Il metodo hegeliano infatti era “essenzialmente idealistico”: esso “partiva dal pensiero puro” (“un metodo che, secondo la sua propria confessione, ‘andava dal niente al niente attraverso il niente'”); mentre, nella nuova concezione, “si doveva partire dai fatti più testardi”. Come si vede, in Engels, la caratterizzazione del metodo (idealista, materialista) fa tutt’uno con quella della “concezione del mondo” (‘Weltanschauung’) entro la quale, e in funzione della quale, il metodo agisce. E tale caratterizzazione è determinata prima di tutto secondo l’opposto punto di partenza (pensiero puro; fatti i più testardi). In questo modo di presentare la questione è già implicitamente presente la metafora del “rovesciamento” che verrà esplicitata da Engels poco oltre” [Cesare Luporini, “Rovesciamento” e metodo nella dialettica marxista] [(in) Critica marxista, Roma, anno I n° 3 maggio-giugno 1963]