“L’accentuarsi della tendenza socialista portò alla nascita della Lega dei giusti (Bund der Gerechten), che, pur rimanendo segreta, estese la propria attività di propaganda alla Svizzera, alla Germania e all’Inghilterra: la direzione, in precedenza esclusivamente «borghese», fu assunta da un gruppo di esuli e di emigrati, in cui erano rappresentati numerosi operai ed artigiani: fra questi i più significativi, col garzone sarto Wilhelm Weitling (1808-1871), furono il calzolaio Heinrich Bauer e l’orologiaio Josef Moll (1812-1849); fra gli intellettuali, oltre al Mäurer, vi furono Hermann Ewerbeck (1816-1860), medico e scrittore, e Karl Schapper (1808-1870), già studente a Giessen e poi compositore di tipografia, che aveva partecipato ai conati rivoluzionari del ’33 a Francoforte e, in seguito, alla spedizione mazziniana in Savoia contro il regno sardo (febbraio 1834). Disse Friedrich Engels della Lega dei giusti: «In origine essa era una propaggine tedesca del comunismo operaio francese legato a ricordi babuvisti, che si stava formando in quello stesso tempo a Parigi; la comunanza di beni veniva chiesta come ‘conseguenza necessaria dell’uguaglianza’. I fini erano quelli delle società segrete esistenti in quell’epoca a Parigi. Era per metà un’associazione di propaganda, per metà cospirazione; e si considerava pur sempre Parigi centro dell’azione rivoluzionaria, benché non fosse affatto esclusa la preparazione di eventuali colpi di mano in Germania. Ma, siccome Parigi restava il campo di battaglia decisivo, la Lega in quell’epoca non era in realtà molto di più di un ramo tedesco delle società segrete francesi, specialmente della ‘Société des saisons’, diretta da Blanqui e Barbès, cui era unita da stretti legami. I francesi insorsero il 12 maggio 1839; le sezioni della Lega marciarono al loro fianco e furono quindi coinvolte nella comune sconfitta» (1). Ma la vera guida teorica della Lega dei giusti, almeno fino a quando essa, sotto l’influenza marxiana, non si trasformò nella Lega dei comunisti (1847), fu il Weitling, il quale, a ragione, può essere considerato il primo «effettivo» comunista tedesco. Artigiano e autodidatta, il Weitling si formò analizzando le proprie esperienze quotidiane d’operaio sfruttato girando senza sosta per l’Europa, leggendo i classici del socialismo francese ed esaltandosi per il comunismo religioso dei rivoluzionari della guerra dei contadini del secolo XVI e di Thomas Münzer. Il comunismo di Weitling fu forse «infantile», ma esso già conteneva in germe i principi del socialismo scientifico: la lotta di classe come elemento motore della vita politico-economica della società, la necessità per la classe operaia d’organizzarsi politicamente e «sindacalmente», in piena indipendenza e al di fuori d’ogni influenza borghese, per contrapporsi come forza autonoma ai «ricchi», cioè al capitale. Di lui resta il giudizio di Marx, che lo apprezzò per la forza rivoluzionaria dei suoi scritti, pur criticandolo per le sue debolezze e per l’immaturità e la confusione delle sue conclusioni. Diceva Marx nel 1844: «Per quanto concerne lo Stato e al capacità d’educazione del lavoratore tedesco in generale, ricordo i geniali scritti del Weitling, che per quanto riguarda la teoria spesso sopravanzano lo stesso Proudhon, sebbene ne rimangano distanziati quanto all’elaborazione” (pag 30-31, introduzione di Gian Mario Bravo, (in) ‘Il socialismo prima di Marx. Antologia di scritti di riformatori, socialisti, utopisti, comunisti e rivoluzionari premarxisti’, Roma, 1970, a cura di G.M. Bravo] [(1) Cfr. Friedrich Engels, ‘Per la storia della Lega dei comunisti (1885), in Marx-Engels, ‘Manifesto del partito comunista’, a cura di Emma Cantimori Mezzomonti, Torino, Einaudi, 1953, p. 236]
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- Articolo pubblicato:18 Gennaio 2018